Ci ritrovammo in tre quella mattina. Già ! Come le carte nella mano di un giocatore di briscola usciti dalla sfogliatura del mazzo. Nella stanza echeggiava il suono metallico dello stillicidio di una fontana. I vetri sudavano condensa. Il cielo sopra la caserma appariva come un foglio crespo color carta da zucchero. Fuori ci attendeva un’alba gelida e tagliente come una lama. Il sergente Papagna blaterava in naionico: Lo slang parlato da taluni militari di lungo corso caratterizzato da una complessa inflessione dialettale ibrida. Rinveniva dalla massificazione linguistica delle componenti dialettali maggioritarie dei costritti della naia. Il sergente era un accademico di quel linguaggio. Abruzzese di origine, il sottufficiale faceva un uso siculo dei predicati verbali coniugandoli rigorosamente al passato remoto. Utilizzava termini partenopei. Apocopava tutte le parole con una cadenza melodica e flemmatica squisitamente pugliese. La caratterizzazione meridionale di questo coacervo linguistico subiva una variante settentrionale nella modulazione delle vocali “e” ed “o”, quando il sergente dialogava con i suoi superiori in grado. In questo caso, l’uomo emetteva quelle vocali stringendo le labbra a tal punto che non ci potevi infilare un filo di paglia. In ogni altra circostanza, la loro pronuncia era tanto aperta e sguaiata da consigliare l’uso di una zanzariera. Non ero in condizioni di osservarlo, ma lo ascoltavo nitidamente: “Minchia! Tre volte… Tre volte mi si fermò per strada, ieri. Spaccassi a capa a chi ce li mise mizza alla strada a ste carriuole. Senza freni… senza luci… senza battistrada… Ringraziai la Madonna che scesi senza essermi rotto le corna…” “Sergente – intervenni a consolarlo – non vi arrabbiate. Iniziare la giornata con tutto questo veleno fa male alla salute”. Il sergente: “Caputo… Caputo! Ci mandarono a fare le esercitazioni al poligono con autocarri che erano già vecchi nella guerra del ‘15-‘18 e io mi dovessi pure stare zitto?!” Tentai di assecondarlo: “Si, sergente, ha perfettamente ragione. Non si può fare la guerra con mezzi così decrepiti e inadeguati… Magari imparassero da Napoleone: ‘L'argent fait la guerre…’ " “Capu’ – mi incalzò il sergente interrompendomi – “Qui l’argiant ce sta… ce sta… Sono le gherl c’ammancano!... " Intervenne Brambilla con sarcasmo: “Sergente, lo sa che la parola “fischio” in francese equivale alla parola “fiasco” in inglese?!" Papagna a me, riferendosi al Brambilla : “Capu’, Ma chiste è proprio scemo! Noi parlammo di soldi e femmine, e questo si intromise con i fischi e i fiaschi”. Poi, il sergente, riprese il suo sproloquio e rantolando: “Mhhhh, le gherl… le gherl… Se qui ci fossero le gherl, io fossi Kommi kaze. Altro che Napolione”! Il Brambilla: “Sergente, non mi dica! Per le donne lei darebbe la sua vita alla Patria?!" “Ma che hai capito, salaaaame ?! – rispose irritato il sergente – “Dissi che se qui ci fossero le femmine io stessi “tosto comme al …” Poi sbottando sconsolato: “Ma che ve lo dico a fare… Che ve lo dico a fare?! …Pigliai 7 in Italiano alla terza media della scuola serale. Spesi na vita per diventare sergente e ora debbo sfiatarmi per farmi capire da due ignorantoni comme a vui. Ma chi v’ha mandato qui?! Brambilla: “E no sergente. Se non fossi stato costretto, io il militare non l’avrei mai fatto. Io sono un pacifista”! Il militare iniziò a canticchiare il motivo dei Giganti : “Mettete un fiore nei vostri cannoni… la la la la”. Una provocazione per il sergente Papagna. Anticipai la sua reazione - prevedibilmente scomposta e scurrile - replicando : “No, Brambilla, ti sbagli. Non dimenticare quello che dicevano gli antichi Romani: ‘Vis pacem para bellum’… Se vuoi la pace…” “Ma vafangul’ – mi troncò di netto il sergente - “Chi vuole la pace pare bello, e chi vuole la guerra pare brutto. Così noi militari parimme tutti brutti. E’ così ?! Seguì il rumore di un tonfo nella latrina del Brambilla. Gli spasimi della risata gli avevano fatto perdere l’equilibrio ed era caduto supino sul cesso alla turca sul quale era accovacciato. Sulla sua turca, il sergente turbinava turpiloqui come un turco. Seguì lo scroscio di uno sciacquone. Era quello del sottufficiale, il quale : “Aggio capito…Non tira aria oggi. Ci riproverò domani”. Io, dalla mia turca: “Fate male, sergente, a desistere. Certe cose non si rimandano mai. Gli uomini sono in pace con se stessi solo quando mangiano, quando dormono e quando vanno di cor… ! “…quando vanno di corsa per 20 chilometri – replicò alterato il sergente, interrompendo il mio discorso – come vi ci mando io ora. Brambilla: “Quanto siete permaloso. Vi offendete per un cachinno su di voi. Il sergente, con gli occhi fuori dalle orbite: “ Sporcaccioni, ma che mi buttaste addosso???”
TONI DA CASTROPERA [avv.vitonicassio@virgilio.it]
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