Sull’ipotesi contro-storica di “Buongiorno, notte” di Marco Bellocchio
Non interessa tanto, in questa sede, svolgere un discorso critico – o di merito – sul film di Bellocchio, quanto piuttosto compiere una breve analisi sulla sovrastruttura filosofica del film stesso, che si basa su una morselliana ipotesi di “contro-passato prossimo”. Ovvero, sulla negazione ipotetica di un fatto storico (l’omicidio di Aldo Moro) che ha cambiato le sorti di un intero Paese. Bellocchio affronta il fatto storico del rapimento e dell’assassinio di Moro attraverso gli occhi di una ragazza, Chiara, evidente alter ego (a quanto mi risulta) della brigatista Anna Laura Braghetti, che fu carceriera di Moro per tutto il tempo del sequestro. Ora, Bellocchio tutto sceglie tranne che di realizzare una ricostruzione cronachistica dei fatti. A venticinque anni di distanza (il film è del 2003), in effetti, non sarebbe servito a molto. Bellocchio, in buona sostanza, non si chiede COSA accadde (in fondo, pur con delle inevitabili zone d’ombra, lo sappiamo tutti) ma piuttosto cosa SAREBBE POTUTO ACCADERE. Il rischio (e il sospetto) è che il film sia costruito sulla tesi difensiva della signora Braghetti, che si basa sulla non-volontà (individuale) di uccidere Moro e, anzi, sulla volontà di liberarlo, se appena ciò fosse stato possibile. Bellocchio forse fa un po’ troppo l’apologia di questa brigatista indecisa, conferendo al film un intimismo a volte eccessivo (si pensi all’irrisolta, e perciò fondamentalmente inutile, figura del collega di Chiara al Ministero). Ma dove “Buongiorno, notte” centra il bersaglio è nella costruzione filosofica a livelli. Bellocchio offre infatti al suo spettatore tre livelli di interpretazione: 1) IL PIANO DEL REALE. E’ rappresentato dai TG, dai servizi televisivi d’epoca, dai volti degli uomini politici di allora… Il regista li inserisce spessissimo, puntellando il film con le sigle dei telegiornali e con le notizie dei giornali. Tutte queste sequenze restituiscono il senso dell’accaduto, così come la cronaca lo ha raccontato e tramandato. 2) IL PIANO DEL VEROSIMILE. E’ la rappresentazione che Bellocchio dà del sequestro, con tocchi a volte iperrealisti (la cassa che non entra nella cella) e altre volte un po’ grossolani (il “processo” delle BR a Moro, compresso in qualche stereotipata domanda postagli dai suoi carcerieri). 3) IL PIANO DELL’IPOTETICO. Sono i sogni ricorrenti di Chiara, nei quali Moro esce dalla cella nottetempo, gira per l’appartamento-prigione, ma non fugge. Ed è il sogno finale nel quale Chiara lo libera dopo avere addormentato col sonnifero i suoi compagni di lotta. A ben vedere, questo terzo livello potrebbe essere definito anche piano dell’irreale, se vogliamo contrapporlo con più decisione al primo livello. Bellocchio costruisce tutto il film sull’intrecciarsi di questi tre piani narrativi e filosofici, e non a caso le parti meno interessanti risultano essere quelle dedicate alla “filosofia brigatista” o ai ripensamenti e ai tentennamenti di Chiara. “Buongiorno, notte” è un film cerebrale come pochi, a tratti lo è addirittura letteralmente, visto che si muove nel vago e incerto “territorio” della mente di Chiara, la sua protagonista. Il regista, sciolto dalla necessità di narrare dei fatti che sono universalmente noti, si concentra sulla idea del sequestro più che sul sequestro stesso; e si concentra non solo sull’idea contemporanea agli eventi, come avrebbe fatto un film puramente cronachistico, ma apre la sua trattazione all’idea filtrata dal senno di poi, o meglio, dalle considerazioni storiografiche, sociologiche e politiche di poi. E’ come se, nei tre livelli di cui si serve per costruire il film, Bellocchio comprendesse i molteplici “punti di vista”, gli accadimenti posteriori ai fatti che si dipanano sullo schermo, l’immenso coacervo di dibattiti, riflessioni, editoriali, indagini, scontri e opinioni che – in seguito – hanno fatto esistere nel Tempo il “caso Moro”. In questo senso, “Buongiorno, notte” è un film che, più che attualizzare un evento o una serie di eventi, riflette su di essi con tutte le “armi” possibili della coscienza, e trasporta i suoi spettatori in un Tempo “altro” che non è quello storico propriamente detto, ma che non è per intero nemmeno quello ipotetico o onirico o comunque lo si voglia definire. La insistita ricerca ossimorica, presente fin dal titolo – che accosta due elementi temporali dissonanti – va proprio in questa direzione: nel tentativo, cioè, di mescolare le carte, i tempi, gli elementi, le conoscenze acquisite, per offrire del fatto storico una visione, come dire?, non solo storica, ma appartenente a strati più profondi della coscienza. Ovvero: mitologica! Se è possibile “dare il buongiorno alla notte”, fatto già di per sé, in un certo senso, “contro-storico” o irreale, allora è possibile anche che un fatto storico esista in due realizzazioni diverse, una fattuale e l’altra ipotetica. Nel “tempo zero” del cinema, Moro è sia vivo che morto, la storia è sia reale che irreale, e due finali opposti possono convivere. E’ come se il regista si rivolgesse al suo spettatore e gli chiedesse: “Sapendo tutto quello che sai su Moro e sui fatti del marzo-maggio 1978, che ne diresti di un finale di questo tipo?” E così il finale ci propone l’ipotesi contro-storica di cui si diceva: in sogno, Chiara libera Aldo Moro, ed egli cammina per le strade di Roma immerso nell’alba, mai sorta, di un 9 maggio 1978 “ipotetico”. Un giorno in cui nessuna Renault 4 rossa verrà trovata in via Caetani; la storia non andrà come sappiamo che è andata, ma in un altro modo, in un modo sul quale Bellocchio non può sbilanciarsi, perché in fondo nessuno può farlo. Bellocchio è molto bravo nel far percepire il fascino dell’ipotesi contro-storica, un fascino che può solo essere accennato, non rivelato né percorso fino in fondo: sta allo spettatore proseguire nell’immaginazione di un mondo e di un Paese nel quale Aldo Moro non sia morto il 9 maggio del 1978. In questo senso, il film di Bellocchio è un “film aperto”, un film che – per definizione – necessita di essere completato e continuato dal suo stesso pubblico. Come insegna anche il geniale Guido Morselli in “Contro-passato prossimo”*, citato in apertura, è indicibile il fascino delle ipotesi contro-storiche, proprio per la loro capacità di far riflettere sui fatti storici! Certo, è facile abbandonarsi al delirio contro-storico: se Napoleone non avesse perso a Waterloo? Se Hitler avesse conquistato Mosca? Se Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914, fosse andato a prendersi un gelato anziché assassinare l’erede al trono d’Austria Francesco Ferdinando? E infine, giustappunto: se Aldo Moro non fosse stato ucciso? Bellocchio sembra volersi sottrarre (sottraendovi anche il suo pubblico, ovviamente) alla dittatura dell’accaduto, per riportare l’attenzione sull’accaduto stesso (e in questo risiede il “cortocircuito” su cui si basa il film). Per ripensare con efficacia e con un senso ben preciso ai fatti relativi al caso Moro, non basta più ripetere per l’ennesima volta la cronaca – filologica – degli accadimenti. Occorre, invece, “riappropriarsi dell’irreale” (come forse avrebbe detto Ulrich nell’ “Uomo senza qualità” di Robert Musil!) e utilizzarlo per svolgere nuove domande, e dipanare nuove sensazioni relative al reale. E l’irreale altro non è, in ambito storico, che l’immenso territorio del non-accaduto. “Buongiorno, notte” è un film che, in fondo, ci ricorda l’importanza dell’irreale come gigantesca, irrinunciabile cortina di tornasole per valutare il reale stesso, per dare di esso una valutazione di confronto che – senza fermarsi a riflettere e, dunque, senza fare contro-storia – non sarebbe possibile. Bellocchio non può spingersi oltre. Giustamente, egli si limita a filmare, con tragica compostezza, Storia e contro-Storia appaiate, in un assurdo, quasi griffithiano montaggio parallelo, quando ci mostra, da una parte, Moro che cammina libero e, dall’altra, lo stesso Moro che viene fatto uscire, bendato, dall’appartamento, per andare incontro all’esecuzione. Si può ovviamente reagire ad un film simile con una critica molto dura, e affermare: il contro-passato di Bellocchio è debole, troppo comodo, e fastidiosamente assolutorio per la sua protagonista, Chiara/Anna Laura Braghetti; un film che può apparire, insomma, assai più preoccupato di costruire la psicologia di una ragazza sensibile (forse troppo per fare quello che fa…) che di offrire una vera alternativa al noto epilogo della vicenda. Il regista indulge anche troppo nei confronti di questa ragazza timida e dolce. E, se non si può parlare di apologia vera e propria, quantomeno bisogna parlare di un “uso” del personaggio non sempre del tutto onesto. Tanto più che gli altri brigatisti, di contro, sembrano tutti stereotipati e banali. Nella chiusa del suo film, però, Bellocchio non delude, nonostante le feroci critiche che in tanti hanno avuto forse troppa fretta di rivolgergli. Perché, lungi dal “preferire” uno dei tre piani espressivi di cui abbiamo parlato, il regista dimostra invece di accettarli tutti e tre e di saperli interlacciare fino alla fine, accettandone i rispettivi statuti ontologici. Fino ad approdare, appunto, ad un finale in cui i tre piani si legano e si saldano definitivamente: la rappresentazione cinematografica dell’accaduto (Moro che esce dalla sua cella per essere giustiziato); il sogno di Chiara (Moro che cammina libero per Roma); e la realtà storica dei fatti, con quella galleria funebre di uomini politici che presenziano al funerale di Aldo Moro, e che chiudono il film coi loro impassibili volti fissati nella Storia. Col dubbio – che non è mai male sollevare – di che cosa sia a tutti gli effetti REALE e che cosa, invece, solo frutto di abitudine mentale o di comunicazione mediatica.
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* Guido Morselli, “Contro-passato prossimo”, Adelphi, 1975. Il romanzo narra di una micidiale operazione, ovviamente contro-storica, denominata “Edelweiss Expedition”, con la quale le forze degli Imperi Centrali avrebbero vinto la Prima Guerra Mondiale…
MATTEO FONTANA [lanternadiborn@libero.it]
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