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Tapirelax
15.11.2010
RAPINE
Autore: Robirobi

Oltre a insegnare filosofia prelevo indebitamente dalle banche denaro contante, perché sarà vero che non di solo pane vive l’uomo, ma quando la pancia del filosofo brontola, il rumore più triste di questa terra sotterra ogni alto pensiero.
Ho scelto la banca del mio paese, dove l’impiegato è solo uno, e per giunta storpio, tanto per andare sul sicuro. Controindicazioni: la banca è di fronte alla scuola materna, e a quell’ora è un viavai di mamme e bambini. Fare attenzione. Camuffamenti: occhiali da sole fichi, trench. Molto anonimo, non mi riconoscerebbe nemmeno mia moglie.
Una mano si abbatte sulle spalle scaricando un peso di duecento chili. Non può essere che Cater, anche se lì per lì penso a un poliziotto, o un vigile, o il giustiziere mascherato. La prima regola di un buona rapinatore è non temere le conseguenze, ma faccio molta fatica a rispettarla.
“Ciao, Boris. Cosa fai qui, rapini banche?”. Vorrei sprofondare. Nessuno mi chiama più Robi, da quando uso il colbacco di pelo per nascondere la calvizie.
Gli mostro un sacchetto di carta, contiene un libro da restituire alla biblioteca. Si tratta de “La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente” ed è difettato, mi addormento sempre a pagina ventidue. “Devo renderlo alla biblioteca”. 
“Oh, il nostro professore! Hai trovato da insegnare?”.
“Non ancora”.
“Tempi difficili, Boris. Buona fortuna”. Vuole stringermi la mano, ma lo evito con cura. Mi servirà integra per impugnare l’arma. 
Sono nervoso. Inganno l’attesa guardando le mamme che accompagnano i bambini, e sono tutte molto carine. Ma esse mi guardano con un cipiglio che nemmeno Giovanna d’Arco quando le fiamme le lambivano il culetto. E allora capisco. Se uno ha una ventiquattr’ore, o una sacca sportiva, va tutto bene, ma chi si porta appresso una borsina di carta o di plastica non è mai visto di buon occhio. E consideriamo che indosso un impermeabile e che sono fermo davanti alle scuole a fare ciao ciao ai bambini. Porto la firma in fronte.
Ma ecco giungere il bancario, vistosamente claudicante, basso, lindo, con la sua borsa di pelle. Lui sì, uno a modo. Lo saluto con tutta l’affabile leggera noncuranza di cui sono capace.
“Scusi il ritardo” si giustifica con affanno. E’ in anticipo di un minuto sull’apertura. “Oh sì – insiste – però di solito sono in anticipo di tre minuti”.
Dò un’occhiata furtiva. Le mamme stanno dando un’occhiata furtiva a me. Noto con una lieve inquietudine che siamo tutti furtivi, a quest’ora, da queste parti.
In banca non ci sono rilevatori di metalli, né vetri antiproiettile. Entro felice come un bambino in un negozio di cioccolatini e quando l’impiegato ha appeso il cappotto, si è sistemato, ha acceso il computer, ha disposto le sue carte sul banco, acceso la radio bassa bassa, gli intimo di allungare i soldi.
E’ più divertito che spaventato. “E’ la sua prima rapina? Ho poca roba in cassa”.
“Quello che c’è va bene. Possibilmente in piccolo taglio”.
L’impiegato mi sembra titubante, non è un buon segno. “Mi mostri qualcosa, un’arma”.
Frugo nelle tasche, c’è di tutto ma non sento la forma familiare e il freddo metallo.
“Mi dispiace – ammetto – l’ho lasciata a casa”. Non mi perdo d’animo, non è la prima volta che mi succede un intoppo, ma una delle regole del buon rapinatore è non lasciarsi mai prendere dal panico. Gli propongo di lasciar perdere, amici come prima. Allora l’impiegato tira fuori un’arma e me la punta contro, intimandomi di allungargli i soldi, possibilmente in piccolo taglio.
“Non è così che funziona”  - protesto – non è leale. E’ la sua prima rapina? Perché io alle otto e mezzo non ho soldi in tasca. Devo ancora rapinare”. Gli propongo di darmi quello che ha in cassa. Una cosa alla volta. L’impiegato depone l’arma, tira fuori i soldi, li depone sul banco. Piccolo taglio.
Li raccolgo e faccio per andarmene, ma afferra l’arma e me la punta addosso. “Ora tocca a me”.
Faccio le mie rimostranze. Non ha senso. Dove si è vista un roba simile? Ma quando arma la canna mi accorgo che ha perfettamente ragione.
“Sa – mi dice – sono un moderno Robin Hood. Rubo ai ricchi per dare ai poveri”.
“Ma io non sono ricco”.
“Sono pochi quelli che vanno in giro con un malloppo come il suo” obietta. Prende i soldi, lasciandomi la moneta sonante, e li infila nella sua borsa.
“Adesso sono tornato povero” mi lamento.
L’impiegato mi allunga un biglietto da dieci. “Sparisca”.
Prima di uscire lancio un’occhiata fuori. “Ne riparliamo” minaccio, puntandogli addosso il dito tremante, poi mi precipito all’aperto.
L’aria è buona, i bambini sono a scuola, le mamme sono sparite, sembra che nulla sia mai successo. Quasi ci riprovo, ma poi ricordo a me stesso che una delle regole del bravo rapinatore è non tentare mai due volte. L’importante è venire dimenticato al più presto.
L’indomani compro il giornale. MISTERIOSO PEDOFILO ASSALTA BANCA, è scritto in prima pagina. L’impiegato terrorizzato ha consegnato il denaro a un uomo che molestava mamme e bambini. Tutti hanno visto il malvivente, ma nessuno lo riconoscerebbe. A parte Cater, che però è uno che non fa molti collegamenti, per lui gli avvenimenti hanno un inizio e una fine e basta.
Per mia fortuna sono uno di cui non ci si ricorda mai. Una volta avevo una ragazza, e dopo un anno che ci frequentavamo, un bel giorno mi dice: “Sai, non mi ricordo di te”.
Quella volta lo considerai un affronto, ma ora penso che forse è un bene, e testimonia che non è detto che esistiamo veramente, per lo meno non tutti i giorni.

ROBIROBI [cpkpst@tin.it]

 

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Commenti [4 commenti]

Che bel racconto. Mi sono divertito un sacco. BRAVO !!

saverio | 22.11.2010  00:22 

applauso.. (e lungo anche..)

a.marti | 18.11.2010  13:44 

...e adesso non venirmi a dire che non hai mai letto "la gang del pensiero" di tibor fischer. non ci credo.
bravo.
come sempre del resto.

UfJ | 16.11.2010  14:32 

Quando Andrea Cirillo incontra alcuni dei fratelli Marx, Zeppo escluso, prima di tutto si salutano. Poi scrivono un racconto bello così

Zumba | 16.11.2010  09:32 

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