Se fossi un profumo non avrei bisogno di parole per raccontare questa storia. Mi basterebbero due gocce per arrivarvi dentro, dritto al bersaglio, per risvegliare ricordi sepolti e restituirveli intatti, densi, brucianti, come una sberla in piena faccia.
Parlo per esperienza; odori e profumi ci invadono senza permesso, percorrendo la distanza naso-cervello con la velocità di una pallottola. L’olfatto è il più misterioso e istintivo dei sensi ma anche il più indifeso; lega anima e animale nel nostro essere “umani”, seduce e respinge, sigilla l’essenza delle cose.
“Questo è il profumo che mette anche Cenerentola” diceva mia mamma ogni mattina infilandomi nella tasca del grembiule un fazzoletto lindo, con due gocce del suo profumo fiorito; un’essenza famosa, che avrei imparato a riconoscere fra mille, insieme all’idea che le favole potessero anche profumare, essere quadrimensionali, avere profondità.
Quel fazzoletto era molto più di una coccola; era la certezza che mia madre mi amasse di suo stesso sangue e profumo e che in quell’essenza ci fossero al contempo amore e complicità, femminilità e incanto. Mi bastava aspirarne l’essenza, di tanto, in tanto - perché mai credo di aver osato usare uno di quei fazzoletti per soffiarmi il naso - per riprendermi dagli sconforti dell’asilo prima e dell’intera vita poi, immaginando Cenerentola intenta a sfaccendare nel suo castello. Se la chiamavano “Cenerentola” un motivo dovrà pur esserci stato; prima d’incontrare la fata madrina, probabilmente profumava come il tubo di una stufa; l’odore acre che c’è in fondo al camino e che si attacca in gola. Quel dettaglio aggiungeva un che di tragico e nuovo nella mia fantasia a quella ragazzina ridotta in stracci che avrebbe avuto il suo riscatto a suon di “salagadula... magicabula... bidibibodibibu’”. Niente più stracci e cenere dopo la bacchetta magica e di sicuro un profumo buonissimo a renderla irresistibile. Oggi che conosco quasi tutte le fragranze famose, potrei persino attribuirle due gocce di Trésor dietro alle orecchie, una sciccheria da vera principessa
Non so quale vantaggio possa avermi procurato sapere che Biancaneve si preparasse da sola un profumo al muschio bianco e brina d’autunno (poi diventato molto famoso, tra l’altro) e obbligasse i sette nani a mettersi il deodorante dopo la doccia o che la Bella Addormentata nel bosco dopo cent’anni nella teca di cristallo sapesse un tantino di muffa e che il principe azzurro dopo averla baciata in apnea le fece fare un bagno in una vasca di ninfee e schiuma di mare. Quel che so con certezza è che mia madre fosse una strega, magari non potente come la matrigna di Biancaneve che si spruzzava Serpentine ogni mattina e si faceva baciare dalle vipere per evitare le rughe, ma una strega comunque, a cui sono bastate due gocce di filtro magico per sfondare le pareti delle favole, eliminare le tramezze fra il mio mondo immaginario e la vita reale ed insegnarmi - oltre alla passione per i profumi - a vedere le cose anche con il naso.
D’altro canto ho sempre avuto “naso” e non l’ho mai nascosto. Sono una di quelle donne con l’eufemismo del profilo importante. Una rarità ai giorni nostri, visto che nasi come il mio sono in via di estinzione, sbranati da rinoplastiche estetico-funzionali. Io ho resistito e mi sono tenuta un naso lungo e pure un po’ storto. Non che mi piacesse, al contrario, risparmiavo i soldi per l’operazione dall’età di 13 anni. Ho fatto persino due visite dal chirurgo plastico.
“Signorina lei ha la scoliosi della piramide nasale, che risolveremo attraverso micro incisioni tramite uno scalpello molto sottile” mi disse il dottore mostrandomi entusiasta la video-simulazione del risultato che avrei ottenuto con l’operazione. Fu un colpo al cuore. Mi sentii una versione precedente di me stessa; una foto da catalogo di uno di quei programmi televisivi trash che mostrano il “com’era - com’è” dei partecipanti. Io non volevo far parte di nessun catalogo. Il mio naso non mi piaceva, ma non mi piaceva nemmeno quell’espressione falsa che il mio volto avrebbe assunto con quel profilo simmetrico e anonimo, che il chirurgo aveva già stampato in serie su altri volti. Ripensai a Pinocchio (profumo di legno, patchouli, cuoio e sandalo, probabilmente Fahrenheit) e al fatto che in nuovo naso si sarebbe allungato a dismisura, come un’enorme bugia. Fuori sarebbe apparso piccolo e proporzionato, crescendo all’interno, fino a traffigermi i pensieri. Video-simulai una fuga dallo studio del chirurgo plastico e rimasi com’ero.
Mi piacerebbe avere un armadio di nasi piccoli e ben proporzionati fra cui scegliere ogni mattina, come fanno le dive con scarpe e borse, ma la realtà manca di fantasia, così mi sono tenuta il mio sperone in mezzo alla faccia. Ci vuole una grande personalità per indossare certi nasi, penso a Cleopatra (una donna che al giorno d’oggi non potrebbe che indossare un profumo intenso come Opium), o a Maria Callas (sicuramente profumata da Dior) e a Barbra Streisand (a cui Obsession starebbe d’incanto!). A dire il vero, si dice che Barbra il naso se lo sia fatto lievemente accorciare, ma mi sento perdonarla, visto che nel tempo naso ed orecchie continuano a crescere impercettibilmente e su certe lunghezze anche i millimetri contano.
Il mio naso ha un metodo infallibile con profumi e persone: lascia che siano loro a scegliermi. Ecco come funziona: entro in una di quelle profumerie gigantesche, quelle che sembrano un’esposizione di vetri artistici piuttosto che un negozio e mi spruzzo addosso il maggior numero di profumi possibile. Poi esco dal negozio, lasciandomi dietro una bava odorosa da lumaca profumata e aspetto. Nel giro di qualche minuto, tutte le essenze che mal si combinano con la mia pelle svaniscono d’incanto e solo il profumo da cui sono stata scelta mi rimane addosso, prepotente. Così faccio con le persone; ne incontro tante e vado incontro ad ognuno senza alcun pregiudizio, in un certo senso “annuso tutti” come fanno i cani, ma poche, pochissime persone mi attraversano l’anima e ci rimangono.
Non vi è rimasta la curiosità di sapere come identifico il profumo più persistente? Mi precipito di nuovo in profumeria e indico alla commessa il punto esatto dove annusare. Se è una brava commessa; se ha passione per il suo lavoro, non si fa troppi problemi, annusa e nove volte su dieci azzecca il nome al primo colpo. In caso contrario, se dubbi e scrupoli prendono il sopravvento, mi scateno come un segugio e seguo la mia traccia su tutti i flaconi, fino a che trionfante, il mio naso vede “quel profumo” e io ritorno alla cassa brandendo la provetta di essenza a cui presterò la pelle per un po’.
Sì, perché mentre con le persone so essere fedele, non lo sono affatto con i profumi. Non sono di quelle che passano la vita indossandone uno solo. A me piace cambiare, mi piacciono sia l’essenza delle cose, che le sfumature. Ci sono profumi per l’estate e profumi per l’inverno, profumi di persone amate e profumi che ricordano qualcosa e a me piace indossarli, sceglierli, come fossi un sommelier d’aromi. Nel tempo ho compreso di essere attratta da alcune note fiorite e fruttate in particolare, ma sopra ogni cosa da tutti i profumi che contengano l’essenza salina della brezza di mare. Si tratta di altro ricordo: la miglior esperienza olfattiva della mia vita che cercherò di raccontarvi usando il naso.
Un pugno di case bianche abbagliate dal primo sole del mattino, odore di gesso e di farina di conchiglie e il profumo indistinguibile che ha l’azzurro fra cielo e mare. Corro mescolando bianco e azzurro, perchè mi piace correre all’alba. Ogni tanto il vento mi porta note salmastre violente e pungenti come l’acqua sul pavimento del mercato del pesce. Anche la mia pelle è salata come il vento. Le scarpe da jogging non hanno ancora perso quel puzzo ostinato di plastica cinese. Corro guardandomi i piedi, per evitare i sassi, sbirciando di tanto in tanto il mare vicino. Un coniglio bianco mi compare davanti. Mi chiedo perché il coniglio non sia azzurro e cerco di inseguirlo, lui solleva le zampe posteriori aumentando la velocità. Forse è in ritardo. Il coniglio è velocissimo e profuma di nuvola e non di paglia e letame, come capita di solito ai conigli in gabbia. La strada si allontana dalle case bianche, s’inerpica in salita. Sono in affanno, rallento, il coniglio è ormai lontano. Cammino; una sberla di profumo, inaspettata e densa, che sembra un respiro, mi raggiunge in piena faccia. Guardo in tutte le direzioni, ma non vedo nulla che possa profumare in quel modo, come una saliva di frutti. Forse sto sognando e il sogno ha il profumo di un bacio. Scorgo una casa bianca in lontananza, il profumo sembra arrivare da lì. Riprendo a correre, ubriaca, in quella direzione. La casa è divisa in due da una macchia di rosso intenso. E’ quella macchia a profumare così, forse è il profumo del rosso. Sono stordita; la macchia è composta da centinaia di fiori. Un’enorme bouganville si è impossessata di quei ruderi con lunghi tentacoli nodosi, crescendo come una ferita aperta su quella vecchia casa. Il profumo mi stordisce, mi circonda, m’invade. E’ irresistibile. Il coniglio bianco ricompare all’improvviso e mi fa cenno di seguirlo, corre dritto verso la macchia di fiori rossi e io mi sento come un insetto davanti alla bocca di una pianta carnivora. Il coniglio si tuffa nei fiori, mi tuffo anch’io e cadiamo inghiottiti da un tunnel che non sembra finire mai. Poi il buio. La pianta mi ha mangiato.
Quando riprendo i sensi, c’è odore di torta nell’aria, la stessa torta di mele che mia nonna metteva sul davanzale a far raffreddare, perché le nonne devono sapere di torta di mele. Sono stesa a terra, accanto alla vecchia casa squarciata dai fiori, che però ora non profuma più così intensamente come prima. Sopra di me il cielo azzurro e una ragazzina bionda che mi accarezza la fronte. E’ lei a profumare di torta di mele. “Ti sei fatta molto male?” mi chiede sorridendo. Ha un’aria gentile e familiare. Non ricordo molto, solo di essermi tuffata dietro ad un coniglio. Istintivamente mi rialzo in fretta; sembra che tutto sia a posto, niente mi duole, solo la testa mi gira un po’ . “Attenta, ti sanguina il naso” dice la ragazza bionda estraendo dal grembiule azzurro un fazzoletto bianco “forse hai preso un colpo di sole”. Mi accosta al naso un fazzoletto bianco, con l’orlo fatto a mano e una A ricamata su uno degli angoli; cerco di obiettare che glielo sporcherò ma lei sorride “Non ti preoccupare, è solo un fazzoletto, puoi tenerlo, visto che anche il tuo nome inizia con la A. Io ora devo andare, il Bianconiglio mi sta aspettando”. La ragazzina bionda svanisce, lasciandomi sola e piena delle sue meraviglie. Il naso non sanguina più; sul bianco del fazzoletto una macchia di sangue rosso intenso, come sul muro della casa bianca e due gocce di un profumo fiorito, un’essenza famosa, che riconoscerei fra mille.
A.MARTI [marlock@libero.it]
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