Il mio primo impianto per la riproduzione, fatta eccezione per quello che mi penzola sotto, fu un mangianastri della Philips verde delle dimensioni di una scatola di sigari. Aveva il play, lo stop e il f-fwd. E il volume. Non c’era il tasto per mandare indietro. Bisognava girare la cassetta. In realtà non era un vero e proprio mangianastri, lo definirei più propriamente un masticanastri dal momento che in pochi ascolti sapeva conciare un’audiocassetta come farebbe un cagnetto con una ciabatta. Andava a pile. Quando erano nuove suonava più veloce, ma con il trascorrere dei giorni la timbrica di Mina diventava sempre più simile a quella di Amanda Lear. Negli anni settanta l’alta fedeltà era codificata con criteri ben differenti da quelli odierni. D’altronde sono convinto che il mio masticanastri sarebbe piaciuto a John Cage. In casa avevamo anche un lettore di cassette 8 millimetri. In nastri avevano quattro canali della durata di una decina di minuti ciascuno. Al termine della riproduzione di un canale si passava automaticamente al successivo con un sonoro ta-tlack. Avevamo molte cassette 8 millimetri. Almeno una trentina. Equipe 84, Dik dik, Mina, Zanicchi, Vanoni, Inti illimani, Aznavour, Celentano, Battisti. Per tutti gli anni settanta non mi fu permesso accedervi, ero troppo piccolo, pertanto dovetti limitarmi a sentire stupide cassette masticate piene di sigle di stupidi cartoni animati. A parte Planet O io detestavo le sigle dei cartoni animati. Arrivarono gli anni ottanta e portarono con sé venti di modernità. Mio padre tornò dal medio oriente con uno stereo portatile. L’oggetto aveva le dimensioni di una grossa valigia e pesava una trentina di chili. Per definirlo portatile ci voleva tutto l’ottimismo di mio padre. “La maniglia ce l’ha, dico bene?” Quell’oggetto era un vero e proprio prodigio della tecnologia. Innanzitutto era stereo, quindi dotato di ben due casse invece di una, e c’era persino il tastino del dolby. C’erano l’equalizzatore e l’autoreverse. Il tasto pausa. Poteva riprodurre ma anche, udite bene, registrare su cassetta. Mio padre si era procurato pure un microfono. Con quello registrai la mia prima cassetta mista. Era il 1981. Conteneva, oltre al resto, canzoni del calibro di Isotta, Le Louvre e Der Kommisar. Erano giorni strani. Il nuovo che avanzava portava con sé le prime avanguardie pop. C’era un tizio allampanato con dei grandi occhiali neri che cantava dentro un megafono. Non capivo nulla di ciò che diceva. Eppure mi affascinò immediatamente. Cominciai a rompere le palle tutte le settimane. Ci vuole quasi un anno prima che i miei si decidessero. Tanto che quando mi regalarono finalmente la cassetta de La voce del padrone era già uscito L’arca di Noé. A distanza di così tanto tempo ancora mi emoziono quando vado a vedere Battiato. Ora che ci penso, proprio non capisco come possa fregarvi qualcosa di tutto ciò.
Sopra, la copertina del singolo Le Louvre raffigura una ineffabile Diana Est in versione peplum-dark. Semplicemente irresistibile.
UFJ [ufj@tapirulan.it]
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