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Tapirelax
11.03.2013
CIN CIN
Autore: Mr. Orpo


Fanno cin cin, uomo e donna, fanno proprio cin cin, avranno quarant’anni tutti e due, lei con la pelle giallastra, lui con una stempiatura a punta, fanno cin cin col bicchiere che tintinna, cin cin, sembra di cristallo, sembra ma io lo so bene che non è di cristallo, l’uomo e la donna sono a tavola e brindano, cin cin, seduti accanto a loro ci sono anche due figli che avranno grossomodo sette e cinque anni, maschi tutti e due, si somigliano ma il piccolo è più grasso, la versione gonfiata ma rimpicciolita del grande,  l’uomo e la donna brindano, cin cin, e mentre brindano si guardano negli occhi, detta così sembra anche una cosa normale, si guardano negli occhi brindano e fanno cin cin tintinnando, mentre brindano e fanno cin cin e si guardano negli occhi si scambiano un sorriso appena abbozzato, anche questo è normale, ma il sorriso è finto, si vede da lontano che è finto, e si vede anche meglio da vicino, si dà il caso che mentre loro si sorridono e fanno cin cin sorridendo in quel modo finto io sono abbastanza vicino, giro tra i tavoli, ma li guardo comunque per bene, anche se i ritmi sono frenetici, e molti clienti devono ancora ordinare e alcuni sono impazienti, io comunque mi ritaglio quei tre secondi per guardarli mentre fanno cin cin col sorriso finto, e la cosa mi colpisce per questo, non perché il sorriso è finto, e non perché fanno cin cin, chiunque prima o poi fa qualche cin cin col sorriso anche più finto di quello, no, non è quello, è che fino a subito prima quei due, l’uomo e la donna, non si sono parlati e non si sono guardati, per niente, prima del cin cin silenzio assoluto, hanno ordinato ciascuno il proprio primo piatto, prima lui le tagliatelle al prosciutto, poi lei i ravioli burro e oro, poi lui ha ordinato da bere il vino rosso della casa, mezzo litro sfuso, e una bottiglia grande di acqua naturale, poi nient’altro, si sono zittiti, i loro figli giocavano coi bicchieri e le posate, loro non dicevano niente neanche ai figli, tranne un momento che il figlio più grande stava per far cadere il bicchiere per terra, che il papà gli ha detto smetti subito, e gliel’ha detto senza guardarlo, e senza guardare nemmeno l’altro figlio né guardando la moglie, ma guardando il piatto ancora vuoto che aveva davanti a sé, per il resto nessuno ha detto niente, e i bambini continuavano a giocare tranquilli come se fosse normale non dirsi niente di niente per tutto il pranzo, e in effetti non c’è niente di strano se uno è abituato così, l’unica cosa che non quadra ed esce dal sistema, perché quella famiglia è una specie di sistema, l’unica cosa notevole è quel sorriso finto che accompagna il cin cin, solo quello, o forse oltre a quello l’idea stessa di fare un brindisi come se ci fosse qualcosa da festeggiare, cos’hanno da festeggiare con un cin cin fatto tintinnare al centro di quel silenzio, non riesco a capirlo, davvero non riesco a capirlo.
Non riuscivo a capirlo anche se dopo il cin cin, quando ho ricominciato a prendere le ordinazioni e portarle in cucina e gestire l’impazienza dei clienti, ho continuato a farmi delle domande su quel cin cin, arrivando alla conclusione che era un rito o qualcosa del genere che quella coppia celebrava ogni anno, oppure in ogni occasione che andava fuori a pranzo, forse dalla prima volta che erano usciti insieme, millenni prima di concepire anche solo l’idea di avere due figli che sarebbero diventati l’uno la copia espansa ma piccola dell’altro, e all’inizio quel cin cin doveva essere stato davvero quello che si dice un suggellare un momento, un’intesa e una complicità nascenti, i sorrisi veri, gli occhi luccicanti o almeno non opachi, la pelle non giallastra e i capelli folti sprovvisti di stempiatura, ma anno dopo anno, pranzo dopo pranzo, quel cin cin era diventato via via meno giustificabile all’interno dello schema in cui quella famiglia si sarebbe poi rinchiusa, fino a entrare, quel cin cin, nella categoria del grottesco, l’uomo e la donna hanno lasciato passare l’ultimo pranzo in cui sarebbe stato ancora possibile fermare la deriva e rendere nuovamente credibile quel cin cin, forse qualche anno fa, forse molti anni fa, non ce l’hanno fatta, ha prevalso l’inerzia o la pigrizia o la paura, e l’uomo e la donna ormai sono troppo stanchi e annoiati persino per individuare l’aspetto grottesco di quel cin cin, e guardarsi negli occhi e sorridere col sorriso finto e fare cin cin è al tempo stesso necessario e nauseante, unica scelta e scelta sbagliata, cosa facilissima e cosa difficilissima, ma mai difficile quanto parlare del cin cin tra di loro e confidarsi la fatica e il disgusto e la tristezza senza via d’uscita in cui si sono infilati a capo chino e bocca chiusa, meglio quindi continuare a celebrare il rito facendo finta di celebrare un rito vero e non la pantomima di un rito, secondo loro, solo secondo loro.
Secondo me invece è meglio la sincerità anche se brutale, e se guardavo con tanto stupore quella scena, quel cin cin, è perché io so che a me e a Fulvia non capiterebbe mai, non importa se anche quell’uomo e quella donna vent’anni fa pensavano che a loro non potesse capitare, a noi davvero non potrebbe capitare, a costo di lasciarci quando ancora ci amiamo, ne sono sicuro, Fulvia sarebbe d’accordo con me, non ho neppure bisogno di chiederglielo, lo so, qualche volta che è venuta al ristorante per vedermi lavorare, perché dice che quando lavoro ho qualcosa di irresistibile e si eccita a guardarmi, ma lo so che lo dice perché si diverte a mettermi in imbarazzo, non perché ho davvero qualcosa di irresistibile, qualche volta che Fulvia è venuta al ristorante ha visto coppie tristi come quella, anche se non altrettanto grottesche, e quando quelle volte che vedeva al ristorante coppie tristi poi tornavamo a casa insieme a metà pomeriggio, con lei che mi si attaccava al braccio lungo la via e mi sussurrava parole per gioire del mio imbarazzo, quelle volte mi diceva a noi non succederà mai niente di quello che è successo a loro, non diceva piuttosto ci lasceremo quando ancora ci ameremo, ma si capiva da come mi guardava che intendeva quello, si capiva da come mi guardava mentre io la guardavo tutto avvolto nel mio imbarazzo, i suoi occhi mentre parlava erano scintillanti e facevano cin cin con i miei, la pelle lontanissima da qualsiasi sfumatura tendente al giallo, la schiena dritta, le spalle forti, il sorriso vero, e sentirle bisbigliare quelle parole è il ricordo che mi impongo di non lasciarmi sfuggire adesso, adesso che Fulvia non parla più con me.

MR. ORPO [orpobue@gmail.com]

 

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