Quando sollevai lo sguardo mi resi conto che la donna che avevo sposato non era più la stessa. La femmina che un giorno mi aveva fatto perdere la testa con le sue gambe infinite e i boccoli rilucenti come una cascata di monete d'oro, eccola, all'improvviso, vestita in modo dozzinale, trascurata, con un neo cresciuto chissà quando proprio al centro della fronte, una specie di parabola satellitare. Si trascinava mormorando mozziconi incomprensibili e voltava la testa su e giù, avanti e indietro, come una povera pazza. “Io credo di non amarti più” le dissi piano, come se la verità sottovoce potesse essere meno dolorosa. “Tu mai amo me, sono nuova cameriera e vengo paese lontano” disse, sputando sul vetro del tavolino per togliere un alone.
Vengo paese lontano, più lontano tuo paese lontano e se tu abito vicino, più lontano ancora. Vengo via perché mio padre muoio e mia madre dopo tre mesi muoio dolore, più dolore che canile. Io prima che vengo qui ho canile, che chiamo Gechi, proprio canile chiamo così, ma quando rimango sola e devo venire via questo paese devo abbandono canile Gechi, cento cani dentro, ma dolore cani sono metà dolore padre e dolore madre che muoio dolore tre mesi dopo. Dolore genitori sempre due volte. Dolore marito anche quattro volte, perché abbandono Gechi tomba mio marito che faccio dispetto cani e così dieci zero quattro mattino sole, cane stanco che mio marito arrivo piano e urlo e spavento mentre cane dormo, mio marito faccio bu e cane faccio gnam, dieci zero quattro. Dieci e trenta pezzo qui pezzo là, testa mio marito, vicino cane, sorride scherzo. Forse. Vengo paese tanto lontano che consumo due paia rotaie per arrivare e trovo lingua così diversa che prima che chiedo dove sono bagno faccio tutto addosso. Se non parto muoio allora parto e anche se ci metto tanto che imparo lingua faccio così. Uno mese guadagno soldi uno anno e mio paese tutti dico che io sono regina, anche se porto questo grembiule nero. Mio paese muoio anch'io, ora sono donna senza passato, passo presente che pulisco e solo mentre pulisco mi accorgo che sono presente. Non ho futuro perché non torno più giorno futuro mio paese, senza Gechi e senza marito. Anche se Dio non voglio che muoio, io muoio mentre pulisco alone tavolino e lui lo sa. Muoio ogni volta che pulisco, ma questo devo faccio, casa signor Cordi.
Lo sapevo. Mia moglie ora che ci penso non ha quel neo, e nemmeno quella faccia. Io di mia sorella non mi fido, però. “Hai capito, tu, che non mi fido? Come ti chiami, tu?”. “Rosaria Svetlana Singh - mi dice – ma Rosa vado senz'altro bene” “Rosa con quella faccia? Crisantemo, ti chiamo, se vuoi. Ti chiamo Cris. Ti piace, Cris?”. Cris abbassa la testa. A me non piacciono le persone che abbassano la testa. Sono sempre disposte ad ubbidire e a dire di sì. Io quelle persone le ucciderei. E poi non sono nemmeno sicuro che sia una cameriera, perché io di mia sorella non mi fido. “Siediti, Cris, devo farti un paio di domande, siediti pure sul divano, non avere paura di sporcarlo, pero dopo puliscilo un po', dove ti siedi”. “Posso siedo, signor Cordi?”. “Te l'ho detto, no? Tu non solo devi sederti, ma devi dirmi la verità. Mia sorella ti ha mandato qui come badante?”. “Assolutamente no, signore. Io sono solo cameriera. Faccio letti, cucino se tu voglio...”. Ma qui lo fermo subito, il fiore dei morti, perché se c'è un cuoco provetto sono io. La perdono solo perché non lo sa. Ho imparato a Parigi, io. Lavoravo in un negozio di abbigliamento, mi pare, ma cosa importa? Parigi è sempre Parigi e infatti quando un cuoco è bravo si chiama chef e una lampada che funziona si chiama abat-jour.
ROBIROBI [cpkpst@tin.it]
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