L'uomo fissava il foglio. I suoi occhi continuavano a scorrerlo da destra a sinistra, dall'alto al basso e nel frattempo muoveva le labbra allargandole e stringendole e producendo strane smorfie. Non fossero state le 10 del mattino avrei pensato che stesse cercando di togliersi qualche avanzo di cibo rimasto incagliato in mezzo ai denti. Si fermò un attimo e si passò la mano aperta sulla testa saggiandone la superficie dalla fronte fino alla nuca. Lì la fermò ed si grattò un poco. Riprese dunque a rimirare quell'unico foglio nervosamente, alzando ogni tanto lo sguardo verso di me come per inquadrarmi. A volte mi osservava gli occhi, altre volte si soffermava sulla camicia o le mani. Occhiate veloci e malamente mascherate di chi non crede o non vuol credere all'evidenza e persevera nell'analisi del dubbio. Infine decise di posare quella greve carta per lo più bianca e con poche parole disposte ordinatamente al centro della sua lunghezza, allineate sul lato. Si sollevò gli occhiali con la mano sinistra e con la destra si stropicciò gli occhi. Quasi sbadigliò o forse erano le solite smorfie. "Giovanotto" mi disse riposizionandosi gli occhiali sulla punta del naso e scrutandomi attraverso di essi "mi può illuminare gentilmente sul suo attuale impiego?" "Beh" risposi "come ho scritto nel mio curriculum..." "Allude a questo foglio?" mi interruppe ed unendo il pollice all'indice sollevò il foglio di cui sopra per un angolo lasciandolo penzolare e quasi ammirandolo controluce come fa il droghiere con le banconote troppo sgualcite. "Ebbene" riprese sogghignando "su questo suo curriculum io leggo che lei sarebbe un eroe, dico bene? Cose di questo tipo in tanti anni di carriera in questo ufficio di collocamento mi sono capitate eccome ma eravamo ai tempi in cui le referenze erano scritte a penna e tutto si spiegava con un errore di lettura, una pessima calligrafia del candidato ma qui no, qui è dattiloscritto bello chiaro e a caratteri ampi. Lei dunque sarebbe un eroe? Mi permetta di dubitarne, alla sua giovane età avrebbe partecipato a qualche lontana guerra e ricevuto varie onorificenze?" "No, certo. Non sono un eroe di guerra" "Ah mi pareva e allora che razza di eroe sarebbe? Una sorta di Achille, di Odisseo, forse Ercole?" E si sbracciava a sottolineare l'importanza dei nomi. "Guardi che ho studiato anch'io questi miti alla scuola pubblica" fece puntandomi il dito "e so bene che un eroe è un semidio frutto di passioni clandestine e dotato di qualità superiori. Ma qui siamo nel mito!" sbattendo la mano sul tavolo. "Vuol forse prendersi gioco di me? L'avverto che non sono in vena di scherzare, sa?" "Mi spiace, deve aver frainteso non sono certo un eroe da tali imprese, niente per cui valga la pena scrivere poemi o aggiungere ore di lezione al liceo. Sono un supereroe, come si dice oggigiorno" "Un supereroe?" "Proprio così" "Come quelli che si trovano sui settimanali per ragazzi? Che indossano tutine colorate?" "Tralasciando l'aspetto estetico, la categoria è quella". "Bene" riprese appoggiandosi comodamente allo schienale della sua poltroncina ed incrociando le dita delle mani sulla pancia "sentiamo un po', da quanto tempo sarebbe un supereroe?" "Dalla nascita suppongo, nessuno me l'ha mai detto ma è più che certo" "E com’è che sarebbe un supereroe?" "Beh, ho grande senso del dovere. Disprezzo l'ingiustizia e biasimo chi la compie. Inoltre apprezzo la sincerità ed il buon cuore della gente" "Continui..." "Ammetto che è una grande responsabilità che molte volte mi opprime e fatico a reggerla ma non posso parlarne con nessuno. E’ una gravità che devo sopportare da solo” “Nobili qualità!” esclamò l’impiegato alzando le braccia al cielo “e tutta questa abnegazione, questo impegno non l’hanno aiutata nel mondo del lavoro?” “Non proprio”, sospirai. “Ma davvero?” e presa in mano una penna incominciò a rotearla tra le dita indicando alternativamente me ed il foglio sul tavolo. “Perché non mi parla delle altre sue esperienze lavorative?” “Non ho mai avuto esperienze durature. Dovendo spesso assentarmi ho sempre optato per impieghi occasionali a scapito della retribuzione e della speranza di un avanzamento di carriera. Per questo sono sempre stato considerato un lavativo nonostante svolgessi i miei compiti con impegno, senza risparmiarmi neppure nei fine settimana ma senza mai ricevere considerazione o gratitudine”. L’uomo ascoltava e scuoteva il capo chiudendo gli occhi, come non volesse vedere. “Lei manca totalmente di ambizione, nel modo del lavoro è fondamentale!” sillabò “Non desidera migliorare il suo status economico e sociale? Mi dica: lei ha famiglia?” “I miei genitori abitano in campagna, sono entrambi pensionati e…” “Ma quali genitori! E’ sposato, fidanzato? Ha intenzione di mettere su casa? Sarebbe segno di responsabilità, di maturità” “Veramente no, fatico ad approcciarmi alle ragazze. Non so mentire né raccontare stupide storielle per farle sorridere e nel contempo sono frenato nel confessare loro la verità temendo che possano non credermi e rifiutami. Però sono romantico ed amante del cinema. Mi piacciono le storie d'amore piene di passione e i grandi patimenti che conducono i protagonisti attraverso ardue imprese verso la pace dei sensi e la serenità degli animi. Vorrei anch'io raggiungere tale traguardo ma ogni volta che ne ho l’occasione, ogni volta che scopro un reciproco interesse finisco sempre per rovinare tutto a causa del mio primario dovere, il tutto mascherato da un'ipotetica incapacità o riluttanza o peggio ancora disinteresse con il risultato di spazientire la poveretta ed abbattere il sottoscritto”. “Dopotutto è ancora giovane” fece l’uomo, che probabilmente si stava arrendendo di fronte a tali sventure, e smessi i panni del severo esaminatore a favore di quelli pietosi e paterni di chi ha già visto la durezza del mondo, aggiunse: “avrà modo di risollevarsi altrimenti” “In realtà” ripresi abbassando lo sguardo “non riesco mai a divertirmi profondamente in quanto resto sempre all'erta, attento a ciò che mi circonda. Per questo sono schivo e ho scarsa partecipazione alla vita sociale. Frequento solo pochi amici che mi trascino fin dall'infanzia, da prima che prendessi coscienza della mia situazione, quando ancora gli ingenui rapporti erano scevri da pregiudizi e malizia. Come se non bastasse i miei vicini guardano con sospetto le mie strane abitudini, il mio uscire ad ogni ora del giorno e della notte. Mi credono un poco di buono, un malfidato. Chiudono la porta non appena faccio capolino sul pianerottolo o inizio a salire le scale. Il portinaio mi riempie di rimproveri e ramanzine ogni santo giorno mentre l'inquilina di sopra, con animo crocerossino, cerca di condurmi sulla retta via indirizzandomi di volta in volta a psicologi, psichiatri, santoni o regalandomi volantini di centri di recupero per alcolisti, violenti e disadattati". L'impiegato ormai mi guardava con gli occhi sbarrati, le sopracciglia inarcate ed il capo leggermente piegato in avanti. Notando quindi la mia pausa prolungata riprese il foglio sul tavolo e facendolo scivolare verso di me, chiese: "Giovanotto, ma in tutto questo, il suo potere?” “Il mio potere?” domandai. “Si, appunto, il suo potere. In cosa consiste?" "Beh, quello..." dissi abbassando leggermente la voce e protendendomi verso di lui. "Quello..." ripeté lui avvicinandosi a sua volta e ruotando gli occhi a destra e sinistra come per assicurasi che nessuno lo vedesse. "Quello è un segreto".
ANDREA [arivieri@yahoo.it]
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