La chiamata arrivò da un fuso orario nove ore più a Ovest. A Los Angeles dovevano essere più o meno le dieci del mattino, mentre Ignazio a Trastevere serviva bianco della casa all’osteria “Otello”. Era un tiepido venerdì sera di fine estate. “Hi Iggy! Shannon speaking” squittì una voce dall’altro capo del mondo. “Hi Shannon! How you doin’ sweetie?” rispose Ignazio sorridendo. Da mesi nessuno lo chiamava più “Iggy”, da quando era tornato. Negli Stati uniti sarebbe stato più facile addestrare cammelli a passare dalla cruna di un ago che spiegare a un americano come si pronuncia “Ignazio” nel modo corretto. Dopo qualche settimana dal suo arrivo in California, stanco di sillabare ogni volta “AI–GI-EICH” e di sentirsi chiamare in continuazione “Igh-na-zzzzio”, aveva scelto “Iggy” come nome d’arte. Era breve, simpatico e gli ricordava quel folle di Iggy Pop e i suoi “stage diving”, i tuffi dal palco. In fondo era proprio per quello che si era trasferito a Los Angeles; per poter salire su un palco. “Iggy?! Are you still there?” la voce lontana ma stridula lo riportò alla realtà: Italia, Trastevere, il sogno americano naufragato tre mesi prima. “Yes Darling, I’m here for you. What the heck? Are you missing me?” Shannon era una versione economica di Pamela Anderson, una bionda siliconata con le unghie posticce e la vocetta sgradevole, segretaria di “R-Evolution”, l’unica agenzia cinematografica di L.A., che aveva ingaggiato Ignazio Longo, aspirante attore extracomunitario, di passaporto italiano, romano di nascita e barese di origini, trasformandolo in “Iggy Long”. A più di seimila miglia di distanza Shannon esplose in una delle grasse risate a bocca spalancata che tanto divertivano Ignazio e che lo catapultarono indietro ai sette incredibili anni trascorsi a Hollywood; esaltanti e deludenti allo stesso tempo. Uscire dalla porta di casa gli era sembrata la parte più difficile; rompere i cerchi concentrici di famiglia, quartiere, città, paese, continente. Eppure l’aveva fatto. A vent’anni era partito con quel sogno in testa: fare l’attore, pronto al tuffo in una realtà sconosciuta per diventare lui stesso l’origine di nuovi cerchi. Aveva sbattuto contro la realtà: il suo modo di fare era “troppo italiano” e il suo inglese scolastico e zoppicante non gli permetteva di accedere nemmeno ai casting per le comparse. Ingrossò le fila dei camerieri di pub e ristoranti della “Città degli Angeli”. Ma poi, dov’erano tutti gli angeli in quella città grande come una regione italiana, fra le più pericolose d’America, attanagliata da un traffico micidiale? Forse sulla Third Promenade, fra Santa Monica e Malibù, nell’area “vip” delle tenute stramilionarie delle divinità del cinema? Oppure erano in spiaggia a Venice’s Beach, dove l’oceano non è azzurro, né trasparente, né pieno di belle fighe alla Bay Watch. No, non erano nemmeno lì; probabilmente erano tutti su internet, dopo il lavoro a cercare sesso, amicizia e amore o qualche altra ragione per vivere. Questo Ignazio l’aveva capito subito; la gente è sola pure a Los Angeles. Anche lui lo era, ma non aveva niente da perdere. Iniziò a parlare con tutti; inglese, francese, spagnolo. Nel suo lavoro era facile; incontrava gente a frotte. Recitò la parte del cameriere cordiale. Sorrideva, chiacchierava, era gentile. Divenne amico di altri camerieri messicani, che lo aiutarono a orientarsi meglio nella città; gli unici che sapevano quali mezzi pubblici prendere per non passare ore e ore sui bus che affollano le freeway. Imparò prima lo spagnolo dell’inglese e fu una fortuna, perché venne preso per una parte in un film universitario sulla comunità di origine ispanica di L.A., ovviamente gratis. Il cortometraggio ebbe scarsa fortuna, ma Ignazio lo mise a curriculum con molta enfasi e iniziò a farlo girare fra le agenzie cinematografiche. Nessuno rispose, tranne la “R-evolution” che si manifestò nella voce sgraziata della povera Shannon, che gli fissò un appuntamento con Mr. Roger Castaneda, scopritore di talenti e socio fondatore dell’agenzia. Era lui la “erre” di R-evolution. Il colloquio fu tragicomico. Castaneda non riusciva a credere che Iggy fosse italiano e non un mezzo messicano: “Brutto bastardo di un Guido’s, sei davvero convincente”. Questo non significò trovare una parte. Castaneda gli diede alcuni consigli: cambiare cognome, tagliarsi i capelli, lasciare la barba incolta e tornare da lui dopo aver frequentato un paio di corsi alla scuola di recitazione “Top Angeles”. Gli fece anche una raccomandazione scritta per quella scuola, senza la quale difficilmente sarebbe entrato. Ci passò cinque anni alla Top Angeles, lavorando di giorno e studiando la sera, misurando tutti i dollari che spendeva e tornando da Castaneda ogni sei mesi. Il suo inglese migliorò e anche la sua recitazione. Iniziò a fare la comparsa: spot, videoclip, scene di folla in produzioni minori, dove inglese e recitazione non servivano affatto, ma fu un passo in avanti:. Poi arrivarono i casting: attese nei corridoi, mani sudate, black-out mentali per battute dimenticate, panico e gli sguardi severi e annoiati dei “casting director”. Cinque minuti per dimostrare il proprio talento, anche se sei il centesimo della mattinata. Eppure “Iggy” aveva tenuto botta e dopo quasi sei anni di quella vita era riuscito a risvegliare l’interesse di qualcuno. Serviva un attore caratterista di origine italiana, sui trent’anni, da affiancare a due mostri sacri: Sylvester Stallone e Anthony Quinn nel film “Avenging Angelo”, diretto da Martyn Burke. Persino Castaneda era al settimo cielo. Iggy aveva superato tutta la trafila: la scrematura del cast director, il “callback” con l’aiuto-regia e infine l’incontro con i produttori e il regista. Gli angeli erano tornati nella città. Ma poi, siccome non era sogno e il contratto non era ancora stato firmato, la produzione, all’ultimo, aveva dato la parte a Leonardo Di Caprio, che era di origine italiana e aveva 27 anni, proprio come Ignazio, ma che dopo “Titanic” era un diventato un filo più famoso di Iggy Long. Fu questa la goccia per Ignazio. In fondo, se doveva continuare a fare il cameriere, preferiva farlo a Roma e se doveva essere preso per il culo, preferiva fosse in lingua originale, senza i sottotitoli. Era tornato in Italia e ora serviva calici di vino in quattro lingue diverse. “Ehi guy, are you ignoring me?” sbottò Shannon nello stesso modo in cui avrebbe detto “Igh-na-zzzzio”. E’ vero, non la stava ascoltando, preso com’era dai ricordi. Chiese scusa e Shannon ricominciò. Aveva grandi “news” per lui, grandissime. In quel momento la ruota ricominciò a girare. La grande star aveva dato buca, anche se il contratto l’aveva già firmato. Di Caprio aveva preferito l’offerta di “Scor-se-si”, “Martin Scor-se-si” puntualizzò Shannon, per un altro film: Gangs of New York. La parte era di nuovo sua, ma doveva firmare il contratto entro martedi “at 5.00 p.m. at the studios!”. Ignazio stava per trasformarsi di nuovo in Iggy Long. Era venerdì, aveva meno di quattro giorni per lasciare tutto e arrivare a LAX, ma cascasse il mondo, questa volta ce l’avrebbe fatta. Si licenziò la sera stessa. Spiegò tutto a Otello: sarebbe passato l’indomani a incassare ciò che gli spettava. I soldi gli servivano subito. Arrivare a Los Angeles con così poco preavviso non era uno scherzo. Fu una notte lunghissima, non riuscì a chiudere occhio. Scrisse una lettera al padrone di casa, spiegando che si sarebbe fatto vivo una volta trovata una sistemazione in America, tanto l’affitto era pagato fino a dicembre. Mandò una e-mail a suo fratello Enrico con tutte le spiegazioni che c’erano da dare e le istruzioni da seguire. Il giorno dopo avrebbe chiamato i suoi per avvertirli, appena trovato il modo di partire. Sbirciò su internet i voli per L.A.: non aveva tutti quei soldi. Un modo l’avrebbe trovato. Si addormentò. Il mattino seguente setacciò le agenzie turistiche di mezza Roma. Sempre gentile e cordiale: chiese, pregò, implorò. Alla fine strappò i prezzi migliori. A Los Angeles ci sarebbe arrivato a tappe, spendendo meno della metà. Partenza lunedì mattino: Roma Fiumicino – Parigi Charles De Gaulle. A Parigi avrebbe atteso tre ore poi: Parigi Charles De Gaulle – Washington Dulles, dove sarebbe arrivato in serata. Non restava che trascorrere la notte in aeroporto a Washington. E che ci voleva? Tanto non avrebbe dormito lo stesso. Il mattino si sarebbe imbarcato sul volo 77 delle 08.10 - American Airlines. Iggy era pronto per il suo “stage diving”. Cascasse il mondo, sarebbe arrivato alla città degli angeli, entro le cinque di martedi 11 settembre 2001.
*La parte di Marcello, per cui Ignazio era stato scritturato in “Avenging Angelo”- uscito nel 2002- è stata poi interpretata da Raul Bova.
A.MARTI [marlock@libero.it]
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