Dexter: il trionfo del politicamente scorretto! O no?
Pochi serial riescono ad ironizzare sulle convenzioni sociali come Dexter, storia di un serial killer camuffato da esperto ematologo che lavora per la polizia di Miami. Dexter è un personaggio straordinario: assassino spietato, ma solo di criminali che sono sfuggiti alle maglie della giustizia, e sui quali ha una visione privilegiata (e informazioni di prima mano) grazie al lavoro nel dipartimento di polizia. Insomma, Dexter è un serial killer-giustiziere, un personaggio oscuro, temibile e spaventoso, asociale e solitario, purtuttavia perfettamente dissimulato nel tessuto sociale: frequenta una donna, Rita, che ha già due figli dal primo matrimonio e che – brutalizzata ripetutamente dall’ex marito – ha in orrore il sesso, ed è per questo… la donna ideale per Dexter! Ha una sorellastra, Debra, poliziotta dura e pura, che lo ammira e lo prende a modello. E ha un padre, Harry, che, pur morto da anni, lo accompagna come visione nelle sue imprese criminal-giustiziarie e che gli ha dato il “codice” in base al quale agire, per soddisfare il suo inestinguibile istinto omicida e al contempo non essere individuato e rendere un servigio alla società, eliminando i cattivi impuniti. Insomma, Dexter è una attualizzazione del giustiziere della notte di bronsoniana memoria, più algida e calcolata, certo (a Dexter non hanno stuprato e ucciso la moglie), più… patologica, se vogliamo. Non a caso, l’ambientazione scelta è Miami, città solare quant’altre mai, soprattutto al cinema. Una Miami divertita e bizzarra, molto diversa da quella – laccatissima – di CSI Miami, tutta controluci e fondalini. In Dexter la città è una specie di sfondo incongruo, allegro e danzante, per le oscure imprese della “mano sinistra di Dio”, come lo scrittore Jeff Lindsay, autore dei libri da cui il serial trae ispirazione, chiama il suo protagonista. Dexter è insomma un serial (killer) registicamente e fotograficamente meraviglioso, senza un accento sbagliato, con vicende narrate alla perfezione. Non a caso, in Italia si sono già viste 7 stagioni senza cali di interesse, e si è in attesa dell’ottava e conclusiva. Non è facile tenere così alto l’interesse pur muovendosi in una trama a così alto rischio di improbabilità. Eppure, Dexter va in crescendo, ogni stagione supera quella precedente per intensità e sfida alle regole del politicamente corretto (l’ironia macabra è evidente, sapida e ghignante) e della messa in scena televisiva (alcuni omicidi sono effettivamente molto brutali, si pensi soprattutto alla quinta stagione, ma anche alla quarta, con un grande John Lithgow, “Trinity killer”, a fare da antagonista a Dexter). C’è però da dire che, man mano che si procede con la narrazione, Dexter deve per forza “normalizzarsi”. E così, se nella prima stagione non conviveva con Rita e anzi il suo rapporto con lei era paradossalmente ottimo proprio perché ella non sopportava l’idea di fare sesso con un uomo (ed era quindi la donna perfetta per il disadattato e anaffettivo Dexter), a partire dalla seconda stagione le cose – fatalmente – cominciano a cambiare: Dexter deve sposare Rita, fare un figlio con lei, diventare un buon padre di famiglia e allo stesso tempo tenere in piedi la sua attività solitaria di serial killer giustiziere. Se da una parte è molto intrigante vedere il mito americano del “buon padre di famiglia” che abita in una linda casetta col prato davanti e i figli e la moglie amorevole e un po’ ingenua smontato e minato dall’interno dalla natura stessa di Dexter – psicopatico e serial killer – dall’altra parte questa stessa struttura dopo un po’ limita molto il personaggio e le storie, e fa rimpiangere parzialmente la “libertà” della prima stagione, che dal punto di vista concettuale – più che narrativo – è probabilmente la migliore, quella che meglio di tutte inquadra il personaggio. Intendiamoci, i colpi di scena non mancano, in nessuna stagione, anzi! Però la “purezza” della prima non viene mai replicata, nonostante le trame siano sempre valide e interessanti, e i personaggi di contorno perfettamente riusciti ( dall’agente dell’FBI Lundy, che indaga su Dexter, al nuovo collega Quinn, passando per i villains Trinity, Miguel Prado, Lila…). davvero un serial politicamente scorretto, oppure il fatto che il protagonista si pieghi ai dettami dell’american way of life – e uccida in fondo solo personaggi spregevoli – è sufficiente a farlo rientrare tra i “buoni”? Viene in mente un paragone imbarazzante, con l’Alex di Arancia meccanica, altro personaggio palesemente “cattivo” per il quale – e Kubrick ben lo sapeva – si finisce per fare il tifo, in virtù della sua verve e della sua simpatia contrapposte al grigiore ossessionante e oppressivo della società che lo circonda. Dexter è l’Alex DeLarge dei nostri tempi? Il Male è destinato veramente a trionfare… travestendosi subdolamente da Bene? Dopo l’ottava stagione, l’ardua sentenza!
MATTEO FONTANA [lanternadiborn@libero.it]
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