"Paolino rimase immobile. Quell'istante sembrava davvero eterno. Il dolore che provava era immenso. Straziante. Sapeva che nulla poteva essere paragonato a QUEL dolore... Continuava. Non accennava a smettere. Anzi. Si faceva sempre pi? insistente. Martellante quasi. Gli prendeva le viscere e saliva fino alla testa. Quasi lo faceva vomitare. Soffriva. Soffriva di un dolore mai provato prima. Ebbe uno scatto, quasi una reazione nervosa, di fronte a quella situazione. Ma il dolore non diminuiva. Anzi, cresceva. Aveva ormai invaso ogni pi? intimo angolo del suo cuore. Gi? sapeva che non sarebbe pi? stato lo stesso di prima, dopo quel fatto. Si ricord? delle parole di sua madre:"Paolino, qualunque cosa accada, tu ricordati sempre di una cosa: io sar? sempre accanto a te...". Erano raggelanti, in quel momento. Ma per quanto si sforzasse di ricordarle, non avevano per lui il minimo effetto mitigante. Il dolore cresceva. Insistente. Beffardo, quasi. Era un dolore che lacerava il petto. Aveva quasi paura di non resistere. Si sentiva morire. Non riusciva a sopportare. Le lagrime cominciarono a rigargli il giovane volto. Erano lagrime amare. Amarissime. Le pi? amare che ci possano essere. In certi momenti, lui lo sapeva bene, ci si sente davvero soli. Senza via d'uscita. Senza speranza. Completamente sfiduciati. E queste sensazioni, lui, in quel preciso istante, le provava tutte. Distintamente. E' orribile provare un tale dolore ed essere completamente lucidi. E lui lo era. Era immobile. Tratteneva il fiato. Rosso di rabbia per quel dolore. E il dolore cresceva. Senza dargli via di scampo. Come una tigre in gabbia, era. Ebbe uno spasmo. Un grande, fortissimo spasmo. Doveva essere forte, gli aveva ricordato suo padre pi? di una volta. Ma non gli riusciva, di esserlo. Si sentiva, anzi, sempre pi? debole. Quasi sveniva dal dolore. Ma lottava. Lottava con tutte le sue forze per restare vigile, vitreo, inscrutabile come una sfinge. Non voleva che nessun altro lo vedesse in quello stato. Nessun altro tranne Giulio, naturalmente. Che in quel momento gli era accanto. Era orgoglioso, Paolino. Sapeva di esserlo. In quel momento voleva esserlo, e ringrazi? Dio di averlo creato tale. Ma il dolore non se andava. Non accennava a diminuire. Un dolore viscido, che come un serpente si arrampicava sinuosamente per le sue membra, accarezzandole tutte e ferendolo fin nel profondo del suo essere. Era davvero un dolore indicibile. Non paragonabile n? descrivibile. Strinse i pugni. Forte. Con tutte le sue forze. Ma il dolore era davvero troppo. Dolore. Dolore. Risuonava nel suo animo, come una campana. Campana insistente che fa impazzire. S?, stava impazzendo dal dolore. Dolore. Dolore. Ci sarebbe dunque stato solo questo nel suo futuro? Questo pensiero lo fece trasecolare. Per un attimo vide se stesso: Vecchio. Rugoso. Senza forze. Senza pi? tempo da spendere su questa terra. E come compagno di viaggio solo quel dolore. Dolore. Dolore. Quell'immagine cos? triste eppure cos? possibile, forse in una qual misura cos? probabile (dato il suo orgoglio) lo fece uscire dal torpore. Voleva ribellarsi. Si: ribellarsi al dolore. Al dolore. Ma il dolore vinceva. Era troppo forte. Troppo immenso. Chiam? a raccolta le ultime energie rimastegli, dopo quella atroce lotta contro se stesso e con un filo di voce disse al compagno Giulio "Va bene, va bene: ti chiedo scusa!".
E solo allora, non prima, solo allora Giulio moll? la tenace stretta ai maroni...
DINO []
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