La mia maestra, Pia, ormai molto anziana, viveva nella casa di riposo "Istituto Einstein". All'entrata della corsia una donna decrepita, appoggiata al muro, stava rigirando fra le mani la parte superiore della dentiera. "Cerco la maestra Pia, dove la trovo?". La vecchia si rimise la dentiera e urlò: "O Piiiiaaaaa!". Una ventina di nonnine si affacciarono dalle loro stanze, chi in carrozzella, chi con la flebo, chi con i ferri da maglia. "Sono io, sono io la Pia" urlavano tutte quante. Ci fu un'accesa discussione per stabilire a chi toccava fare la Pia e si scoprì che qualcuno l'aveva fatta il giorno prima, o finanche per due giorni consecutivi. Si consultò il calendario, poi tutte tornarono nelle stanze, tranne cinque, che non si ricordavano il proprio nome e stavano facendo passare il vocabolario: abaco, abbecedario, abigeato... "Sono io Abigeato, ora ricordo!" esclamò quella con il dizionario, e le compagne si congratularono con lei. L'avvicinai e chiesi della maestrina. "Maestrina!" gridò Abigeato. Le altre tornarono ad affacciarsi e nacque un'altra discussione, che ben presto degenerò in rissa, al termine della quale una decina di vecchiette rimasero stese al suolo. "Lo spettacolo è finito, coraggio, andate via, tutti a casa, non c'è niente da vedere qui, sgomberate" disse Abigeato. Rientrarono tutte, eccetto una, che mi venne incontro con un mazzo di fiori secchi. "Sono due ranuncoli e un'ortica, signor preside", disse offrendomeli. "Sono commestibili, sa?". Era la maestra Pia. La riconobbi per quel suo sguardo perso che in classe mi aveva sempre ignorato. Commossa si soffiò ripetutamente il naso e disse: "Quando comincio? Chi è che si è ammalato, quella zoccola della maestra Gianna? Cosa faccio, una supplenza settimanale o trimestrale?". Chiesi se si ricordasse di me. Mi gettava nel cestino quasi tutti i giorni, quando suonava la campanella della ricreazione. "Congratulazioni, signor preside" esclamò stringendomi la mano. Non era facile capirla, anche perché di tanto in tanto perdeva i sensi, o le cadeva la dentiera. La dentiera originale le era stata rubata tre mesi prima da una del reparto invalidi totali, che l'aveva a sua volta barattata con tre scatole di pelati, e così la maestrina usava quella di plastica che mettono i conti Dracula per carnevale. Nonostante tutto sorrideva sempre, per via di un'emiparesi, e indugiò nel ricordo del mio intelletto sveglio e sempre presente, sebbene io fin da tenera età cadessi in catalessi dopo dieci minuti di attività intellettiva forzata. "Sono contento di rivederla, maestrina Pia". La donnina, presa da un impeto di affetto, mi azzannò sul collo con i canini di Dracula e prima di lasciare l'istituto dovetti sottopormi a una piccola trasfusione di sangue. Una delle infermiere nel bel mezzo dell'operazione si allarmò, perché si era scordata di controllare la data di scadenza del plasma, poi lesse sull'etichetta e si fece una gran risata. Le infermiere le corsero intorno, guardarono la sacca a loro volta e scoppiarono a ridere. Risi anch'io. L'infermiera più anziana mi ammonì: "Se fossi in te non riderei, giovanotto". Quando uscii dall'infermeria mi girava un po' la testa. Le degenti mi guardavano passare, ritte come soldatini sulle porte delle loro stanze. Restituii alla maestra i ranuncoli e l'ortica. "Che bel regalo, signor preside". "Sono contento - dissi - buona serata, Pia". "Grazie" rispose una vecchierella in fondo alla corsia. "Ma guarda quella" gracchiò Abigeato. "Cosa avete da guardarmi così tutte quante? Sono io la Pia!". Nacque un'accesa discussione. Contai almeno sette Pia e otto Giovanna, ma di queste ultime dirò un'altra volta.
ROBIROBI [cpkpst@tin.it]
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