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FOGLIAZZA
  18.12.2008 | 17:50
I VIAGGI NELL'UOMO
 
 

Forse è proprio questo che gli autori volevano suscitare nel pubblico. Angoscia. Una rete metallica, una sedia, un uomo che si aggirava per il palcoscenico pervaso da tic troppo calcati. Si parlava di tortura. “Difetto di fabbrica” riesce ad emozionare. Riesce a rendere questa odiosa pratica di una consistenza quasi fisica. È il dolore e l’angoscia il sentimento che pervade lo spettatore. Se questo è quello che voleva, Fogliazza è riuscito nel suo intento. Lo ha fatto con tutta la maestria di cui è capace. Lo ha fatto anche a costo di mettere in secondo piano quello che ha di più caro nel suo bagaglio artistico: il disegno. Tranne qualche sporadica apparizione, il disegno è quasi cassato dallo spettacolo e dalla scenografia.
Appare quando è quasi indispensabile, ma è sbiadito, quasi timido in questa piece d’esordio. Il tratto cammina in punta di piedi, straniero in terra straniera. Il palco è tutto per Umberto Fabi, perfettamente inserito nel ruolo, recita tutto d’un fiato, riesce a capire la musica dei dialoghi, stabilisce una liason con lo spettatore. “Difetto di fabbrica” non è uno spettacolo “facile”, ha bisogno di una giusta decantazione, và al di là dell’ora di rappresentazione. Riesce a scandagliare l’animo umano; la pratica della tortura può essere messa anche in secondo piano. Il viaggio tutto interiore della rappresentazione sta nel border line di ogni uomo. Tutti possono essere torturatori, tutti possono diventare serial killer? Fogliazza riesce a scardinare la visione binaria della vita. Il bene e il male divisi da una linea sempre più sottile.
“Difetto di fabbrica” è uno strumento per cercare di capire e di capirsi. O almeno tentare di farlo.
                                                                                                                                                                                AlBoh

Autore: fogliazza

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