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  25.03.2008 | 18:03
io visto da me
 
 

tema: l’artista che guarda se stesso.
svolgimento: il pittore raffigura se stesso soltanto quando si ‘autoritrae’ o in tutta la propria opera pittorica? in che misura lo scrittore racconta e in che misura, invece, si racconta? quale romanzo non è realmente autobiografico? cosa canticchiava, mozart, sotto la doccia?
la cappella di san brizio del duomo di orvieto è affrescata da luca signorelli, un gigante della pittura rinascimentale. nella sua famosa ‘apocalisse’ il signorelli raffigura se stesso di fianco al beato angelico. un cameo. niente di strano, dico bene? anche hitchcock dopotutto amava apparire nei propri film. ma si può andare oltre: si può essere ancor più autobiografici senza per forza spennellare la propria faccia su di un muro. come? il signorelli impiegò parecchi anni per terminare la cappella di san brizio. anni di duro lavoro, dall’alba fin oltre il tramonto. niente festività, niente ferie, permessi, vacanze. niente di niente. il signorelli era arrivato a orvieto con la fidanzata. una donna giovane, bella, irrequieta, piuttosto incline alla noia. insomma, sola una sera, sola quell’altra, sola la terza, la giovane pensò bene di farsi infilare da qualche aitante signorotto di zona. il signorelli scoprì il misfatto e sapete che fece? dipinse il volto della fidanzata tra le meretrici in attesa del giudizio divino. puttana per una sera, puttana per sempre. la forza dell’arte.

scusate la divagazione. comunque: io non sono né un pittore né uno scrittore. non sono un artista e men che meno un intellettuale; inoltre, a differenza del signorelli, non ho ragione per prendermela con nessuno di mia conoscenza. ma posso comunque cercare di vedere me stesso coi miei occhi. che cosa vedo?
ecco: maglietta nera da concerto, birra alla mano, sigaretta in bocca. spettinato, una irregolare lanugine incolta in giro per la faccia. occhi assonnati, occhiaie, pelle pallida che da tempo non intercetta un raggio di sole.
come dite? l’aureola? quella m’è venuta a furia di sopportare quella piattola della mia fidanzata. sant'alberto da parma.
se volete cimentarvi pure voi, cliccate qui.

Autore: ufj | Commenti 5 | Scrivi un commento

  13.03.2008 | 18:51
monitor
 
 

quest'oggi ho decisamente lavorato troppo.

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Sette e venti. Basta, non ne posso più: per oggi la chiudo qui e me la svigno.
Addosso una stanchezza possente, megalitica. Una stanchezza oplitica. Il senso di sconforto, di ineluttabilità, di esasperazione, il senso di questa spossante, spersonalizzante giornata di lavo… ehp!
In questo momento nel monitor del mio PC sono sparite tutte le lettere, le icone, le finestrelle. Tutto, insomma. Ed è comparso il volto di un vecchio. La faccia scavata, una irregolare lanugine bianca, la pelle color dell’autunno, gli occhi sperduti dentro orbite lontane, la fronte rugosa sotto i capelli radi: la mia faccia, a sessant’anni.
Un pensiero: sarò ancora seduto qui davanti?
Monitor deriva dal latino moneo.
Ommerda!

Autore: ufj | Commenti 2 | Scrivi un commento

  03.03.2008 | 12:24
un raduno di icosaedri
 

il due novembre dell'anno passato mi capitò di essere alla mostra internazionale del fumetto di lucca assieme a french, gualandri e un paio di altri amici. al ritorno french mi chiese di scrivere un articoletto sull'evento da pubblicare dentro tapirelax. lo feci, e come sempre, trascesi. presentai l’articolo a french e quello commentò: 'ma non possiamo pubblicare dentro tapirelax una roba del genere! sei d'accordo?'. quando gli ricordai che l’editore di tapirelax ero io la risposta fu ‘non t’azzardare, eh?’.
non mi azzardai, naturalmente, ma mi sono affezionato a questo articolo. doveva finire da qualche parte. ho pensato così di mettergli su quattro pennellate decise di trucco, in modo da mascherare il peggio.
ma anche così il linguaggio, vi avviso, è piuttosto ‘farcito’.

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Lucca , 2/11/2007. Mostra internazionale del fumetto

Al termine del concerto la ragazzina coi dread mi afferra un braccio: “Per caso ne avresti un’altra?” chiede sorridendo. Le allungo una seconda cartina. E’ tutta sera che me la divoro cogli occhi. Ogni volta che la guardo è più fica di prima. Mi prende per mano e comincia a tirare: “Dài, vieni a fumare con me, ti va? Eddààài”.
Per alcuni minuti cammino al suo fianco nella notte, ma in realtà non sto esattamente camminando: i piedi sono entità motili indipendenti, come se ci stessi pattinando sopra, ecco. Dietro l’angolo, un grosso albero con una falce di luna rossa incastrata tra i rami. Là in fondo il mio orizzonte di metallo, un guard-rail accartocciato a forma di svincolo. Lontano, i palazzi della città galleggiano come pianeti di cemento. Il prato e la bruma tutt’attorno oscillano sincroni con il mio respiro. La ragazzina coi dread appoggia la schiena al tronco, getta in aria la cartina, mi cinge il collo con le braccia e mi bacia con trasporto. Pochi secondi più tardi sono dentro di lei, spingo, spingo, un senso di calore, ansimo, le oscillazioni del prato si amplificano, onde psichiche, le finestre degli edifici si avvicinano come centinaia di occhi curiosi, il sangue di luna che cola dall’albero, i dread della ragazzina stormiscono nel vento come aerei serpenti, come…
Un infernale pigolio. Per qualche istante nel mio cervello una sorta di tiro alla fune tra sogno e realtà. Guardo la sveglia: sono le 8:15 e non mi sto scopando nessuna ragazzina coi dread. In compenso fra mezz’ora devo essere da French e Gualandri.
Maledizione.

French ha addosso parecchi quadretti ma non la cravatta. Gualandri indossa invece due stampelle nuove fiammanti. E’ felice di vedermi e le agita nell’aria come fossero pistole. Avrà modo, a fine giornata, di rimpiangere quelle energie mal spese. L’equipaggio si completa di due personaggi dall’aspetto più losco di una periferia che chiameremo coi nomi fittizi di David e Marco.
Stiamo andando all’esposizione internazionale del fumetto. Già, proprio così: del fumetto. Ma che ci vado a fare, io, all’esposizione internazionale del fumetto? Che cazzo ne so io di fumetti, di illustrazioni e di simile paccottaglia, io, che i fumetti li leggo soltanto due volte l’anno, Topolino a Natale e La clinica dell’amore a Pasqua, invece della messa. Mi sento ignorante, inopportuno, piccolo: un misero segmento a un raduno di icosaedri.
All’autogrill French intravede due vecchi amici (che menzioneremo in questa sede con gli pseudonimi surrettizi di Topus e Foggio) e armeggia impaziente con la portiera per scendere e corrergli incontro. Ma davanti c’è Gualandri che incede faticosamente, stampellando. “Maledetto fottuto storpio di merda, – strepita French – possibile che ti si debba sempre avere in mezzo ai maroni?” e lo spintona con la portiera. Gualandri alza minacciosamente la stampella: “Mi chiedevo se infilarti questa su per il culo – ribatte – può considerarsi la stessa cosa che pestare una merda con una scarpa. Che dici, porterà fortuna?” Mi disinteresso ai due ed entro in autogrill. Reparto riviste. Mi guardo intorno: nessuno in vista. Bene. Con un gesto rapido e disinvolto estraggo il calendario 2008 di Max dal cellophane e mi accingo a sfogliarlo rapito.
Qualche minuto, una voce: “E smettila di spippettarti. Muoviti, andiamo!” Appoggio nolente il calendario e li seguo fuori. Si riparte.
Al fine di mantenere un conveniente livello intellettuale tra i membri dell’equipaggio, all’interno dell’abitacolo si decide di parlare esclusivamente di figa. Per essere più precisi esclusivamente di figa con le tette grosse. I culisti che se ne vadano in treno. E pure a fare in culo, dal momento che evidentemente gli piace. Gualandri, che d’ora in poi chiameremo con l’agile pseudonimo di ‘fottuto storpio di merda sempre in mezzo ai maroni’ sostiene che ogni volta che vede la Xxxx in fotografia gli scappano tirate quattro seghe, mentre quando la vede di persona gli viene voglia di andarsi a riprendere tutto il suo sperma e infilarselo nuovamente dentro i coglioni attraverso il taglio del cazzo. A mio modo di vedere, dichiaro, le dimensioni ottimali di una tetta non sono quelle di una coppa di champagne ma quelle di un boccale di birra da Oktoberfest. Qualcuno aggiunge di gradire invece il formato secchiello del ghiaccio o, in alternativa, il secchio da pittore.
Le manovre di avvicinamento alla città sono rallentate da un traffico palermitano e dal fatto che il fottuto storpio di merda sempre in mezzo ai maroni non si ricorda per un cazzo la strada. Decidiamo di non decidere: seguiremo la massa, vorrà dire che perlomeno guarderemo un po’ di figa passare. Abbasso il finestrino e mi accendo una sigaretta. Mi guardo attorno. Una giornata primaverile: il sole, il cielo terso, gli alberi, i prati verdi attorno alle mura della città e neanche un brandello di figa, inteso anche soltanto come ‘buco della’, senza fare i difficili, insomma: meno di sessant’anni e possibilmente più di dodici, meno di centoventi chili e almeno 36 gradi di temperatura corporea. Il fottuto storpio di merda sempre in mezzo ai maroni mi informa che sarà parecchio difficile trovare qualcosa di degno in codesto luogo: il fruitore medio di una mostra di fumetti, dice, assomiglia in tutto e per tutto al fumettaro dei Simpson, grasso, capelli lunghi unti come pinzimoni raccolti in una coda sfilacciata, culo enorme ma piatto, portafogli con la catena, brache corte o jeans lisi a seconda della stagione, scarpe da ginnastica in genere nere e grosse come zampogne, t-shirt del concerto degli Helloween, faccia da icosaedro, pizzetto più o meno diserbato, i più ardimentosi un orecchino a forma di clitoride di Peline oppure un tatuaggio di Ratman che schizza in faccia a Lamù.
Beh, essendo mezzogiorno inoltrato pare brutto cominciare proprio ora, vi pare? Il comitato decide all’unanimità che per venire incontro alle limitate facoltà motorie del fottuto storpio di merda sempre in mezzo ai maroni le modalità di consumo del pranzo verranno mutate dall’originario ‘toast al volo’ a ‘pizza seduti con birra caffè amaro sigaretta e possibilmente pompino per bocca della camerierag’. Finiremo col perdere un po’ di tempo e vedere qualcosina in meno, ma vuoi mettere?
La pizzeria assomiglia a un discopub di Pristina nell’arredamento e negli odori, la cameriera sembra una mignotta di Pristina e il titolare invece un pappone di Pristina. Il tavolo è grande quanto un tabellone del Monopoli, siamo stretti come viti, la birra sembra piscio gassato e la pizza ha l’aspetto e il sapore di uno zerbino di Pristina. French, che ha recentemente trovato il coraggio di lamentarsi per la qualità del servizio pizze del Gods of metal, ci satura i maroni di piagnistei. La maggior parte di noi, però, lo ascolta col salvaschermo dal momento che la mignotta di Pristina sfodera un culo che, ai voti, ottiene un eccellente otto virgola seiseisei periodico.
(...)

Il pomeriggio si inoltra come un’e-mail e le fighe si moltiplicano come fattori. Il sottoscritto attacca a macinare i maroni ché se non s’è al Cavallino bianco di Polesine alle nove in punto gli esplodono all’unisono tutti i mitocondri. Si è costretti a tornare.
Uscire da Lucca si dimostra impresa oltre l’impossibile. I cinque si inventano un itinerario alternativo nella forma di una stradicciola talmente tortuosa che farebbe vomitare a vederla sulla cartina, ma la mossa si rivela azzeccata: da dietro una curva spunta chissà come l’autostrada, e da lì in poi il ritorno fila liscio come il pube di una minorenne. I saluti a Parma sono convintamente eterosessuali e necessariamente frettolosi, perlomeno una volta rimosso dall’abitacolo il fottuto storpio di merda sempre in mezzo ai maroni. Alle nove e qualche minuto le ginocchia mie e di French sono miracolosamente infilate sotto uno dei tavoli imbanditi del Cavallino bianco, con buona pace dei miei mitocondri.
Ah, dimenticavo, alla mostra c’erano parecchi fumetti. Qualcuno ha dato un’occhiata in giro veloce.

Autore: ufj | Commenti 2 | Scrivi un commento