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  29.09.2008 | 12:48
voglia di gridare
 
 

ai tempi della guerra in vietnam, durante un suo concerto, frank zappa intravide nelle prime file un certo numero di marines un po' su di giri. allora si procurò delle bamboline gonfiabili, invitò i giovani energumeni a salire sul palco e disse loro: 'immaginate che siano viet-cong, che gli fareste?', e attaccò a suonare star spangled banner o qualche altro canto patriottico americano. lo spettacolo che ne conseguì è facile da immaginare, ma fu invece piuttosto difficile da digerire per il pubblico e per la stampa di allora. frank zappa fu tacciato, pensate, di interventismo. in realtà frank zappa, ancora una volta, aveva tracciato una linea di demarcazione tra conformismo e genialità.

con le dovute distanze, la storiella qui sotto intende raccontare un aneddoto avvenuto qualche annetto fa durante uno show di daniele silvestri. il testo che ne é scaturito rappresenta per me una sorta di esperimento: l’idea era di ricreare in qualche modo la musicalità lineare e il ritmo a tratti funky della canzone. non sono bravo in questo genere di cose e il risultato mi lascia piuttosto perplesso. che si tratti semplicemente di un’emerita porcheria...?

ho partecipato, con questo racconto, al concorso ‘un’emozione provata durante un concerto’ proposto dal sito piemonte dal vivo per MITO settembre musica (qui) e anche stavolta non ho vinto. oh, il racconto premiato effettivamente è carino, ma nove aggettivi dimostrativi nelle ultile sei righe sono davvero troppi.
invidioso? io? macché...

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E allora tre, due, uno, via.
Sopra le mani alzate risuona un ritmo house, niente fronde di note solo tunzetetunz.
Un prato di teste ondeggia piano, bandiere che sventolano a tempo col sound.
La gente ascolta, si sbraccia, si diverte, ride, si accende una paglia, respira, attende.
Finalmente arrivano le note basse, sono quelle che trascinano e che spaccano le casse.
Daniele Silvestri alza i palmi e ammicca, parla di musica funky e di anni ottanta.
Ci fa divertire, fa finta di niente. Ma ha in mente qualcosa, è più che evidente.
Basta vederlo lassù, dondolare nel mentre.

Immagina uno slogan detto da una voce sola
è debole, ridicolo, è un uccello che non vola
ma lascia che si uniscano le voci di una folla
e allora avrai l'effetto di un aereo che decolla

Daniele ci sussurra parole discrete, ci ha quasi distratti e il ritmo cresce, cresce.
Continuiamo a saltare, alziamo la voce. Attendiamo il ritornello, che arrivi veloce.
La gente che grida parole violente non vede, non sente, non pensa per niente.
Daniele alza le braccia, è venuto il momento. Gridiamo insieme a gran voce che la violenza è atroce.

Non mi devi giudicare male
anch'io ho tanta voglia di gridare
ma è del tuo coro che ho paura
perché lo slogan è fascista di natura

Daniele porge il microfono, è tutto per noi. Tocca a voi, tocca a voi, sù, dài, tocca a voi.
LO SLOGAN È FASCISTA DI NATURA! gridiamo ancora
LO SLOGAN È FASCISTA DI NATURA! sì, sì, certo
LO SLOGAN È FASCISTA DI NATURA! tutti insieme, braccia al cielo
LO SLOGAN È FASCISTA DI NATURA!

Daniele sorride.
Ci ha fregati, maledetto.

Autore: ufj | Commenti 1 | Scrivi un commento

  22.09.2008 | 18:36
kumkapi, istanbul
 
 

se non fosse per il fatto che ci è costato un botto di soldi, sarei più che grato all'onnipotente per aver macchinato le cose in modo da farci perdere l'aereo. a dire il vero chi conosce la successione degli eventi sa che avrei ben poco da recriminare nei confronti del vecchio lassù e molto di più in quelli della mia testadicazzaggine.
sta di fatto che la vacanza è durata due giorni in più. uno dei quali, trascorso a camminare tra i vicoli di kumkapi col naso per aria. kumpkapi è a dieci minuti di cammino da sultanahmet, il fulcro turistico della città. ma è come se distasse almeno duemila chilometri...
da buon pessimo fotografo quale che sono ho intasato la memoria della macchina con centinaia di scatti più che inutili, ma in mezzo alla rumenta talvolta salta fuori - per caso, eh - salta fuori qualche piccola gemma. questa che metto online ora senza ritocchi né ritagli è, a mio umile modo di vedere, una di quelle.

Autore: ufj | Commenti 4 | Scrivi un commento

  19.09.2008 | 18:17
tommaso labranca - 78.08
 
 

per il protagonista antonio maniero, la quasi omonimia con il tony manero de ‘la febbre del sabato sera’ costituisce l’opportunità per una serie di considerazioni dall’aroma marcatamente generazionale. l’esile trama altro non è che una traballante quinta nelle mani dell’autore per introdurci in un microcosmo grottesco costituito da una umanità tanto stereotipale quanto, ahimè, reale e contingente. il protagonista si confronta ripetutamente con un mondo, il 2008, talmente diverso dal 1978 dei suoi vent’anni da suggerire, in numerosi momenti, sinistre analogie.
una prosa fresca e frizzante punteggiata da un gradevole humour nero. un libro che si legge con un certo piacere e tutto d’un fiato.
peccato per quel reiterato senso di superiorità ostentato dal protagonista, che ce lo rende ben presto antipatico. possibile che nelle quasi trecento pagine del romanzo egli non impari nulla di nulla? e l’autore, così determinato e puntiglioso nel demolire questo arido e vuoto 2008, possibile, dico, che non sia in grado di proporci qualcosa di alternativo, di costruire per noi un piccolo castello di sabbia, conchiglie e stecchini di ghiacciolo?
la descrizione del ‘barracuda’, uno dei comprimari della storia, è esemplificativa di tutti i pregi e dei molti limiti del nostro.

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(...)

Mi è piombato in casa con un trolley. La visione congiunta Barracuda + trolley mi ha quasi procurato le convulsioni.
“Ti ho aspettato per un’ora alla stazione di Rogoredo! Al cellulare non rispondevi!” ha urlato mentre ancora era in ascensore.

(...)

Il Barracuda è figlio della recente immigrazione interna di lusso. Nel .78 ogni immigrato interno era ancora un kinema tratto da Rocco e i suoi fratelli. Timidi lucani, disposti a fare qualsiasi lavoro pur di cercare una vita con meno miseria al Nord. Nello .08 gli immigrati interni sono spocchiosi figli di possidenti veneti, siciliani, molisani che vengono a Milano a giocare alle studente bohemien, prima della laurea, e al Piccolo Piersilvio, dopo la laurea.
Il Barracuda è l’incarnazione perfetta di tutto ciò. Ventotto anni, calabrese di Locri. Si è laureato in Economia alla SDA Bocconi, probabilmente con una raccomandazione pontificia. E quindi ora è in fase Piersilvio. Non trova alcun lavoro nel suo ramo, data la plateale incapacità. Passa un terzo delle giornate chiamando gli amici della Locride ai quali racconta come ha passato il secondo terzo della giornata, ovvero presentandosi con un abito blu stazzonato, accoppiato a una cravatta con Speedy Gonzales, a colloqui di lavoro presso multinazionali. Colloqui che vanno sempre male. In alcuni casi lo bloccano già alla reception.

(...)

Stoltamente dissi: “Se ti va, vieni a dormire da me. Abito a cinque chilometri dall’aeroporto e non dovrai alzarti alle 4 del mattino e buttare via 50 Euro di taxi...”.
Una persona normale avrebbe detto ‘non voglio disturbare’ oppure ‘be’ grazie’. Il Barracuda no.
“OK, passami a prendere a Rogoredo alle sette stasera”.
Da quella volta, la cosa si è ripetuta almeno otto volte. Il Barracuda torna alla casa paterna a caccia di soldi troppo spesso e per farlo vola irrazionalmente fino a Brindisi. Da lì a Locri usa poi una complessa rete di passaggi in auto e in moto, sfruttando antiche conoscenze, amicizie non corrisposte, lontane parentele. Pare che in questo modo riesca a risparmiare circa 15 Euro. D’altronde, quando si è in possesso di una laurea in economia targata SDA Bocconi...
La realtà è che il Barracuda non sa stare solo. Deve muoversi in banchi numerosi, proprio come il pesce cui mi sono ispirato per ribattezzarlo. L’idea di prendere un taxi antelucano, con il tassista assonnato che apre bocca solo per domandare la destinazione, di volare a fianco di un altezzoso uomo d’affari, di aspettare da solo in aeroporto cinque ore prima che qualcuno abbia il tempo e la voglia di venirlo a prendere da Locri a Lamezia Terme sono tutte cose che lo riempiono di angoscia. Con quell’assurdo giro jonico di oltre seicento chilometri riesce a praticare il suo hobby: dar fastidio al prossimo credendosi espansivo e simpatico.

(...)

La realtà è che quando è a Milano, il Barracuda non ha molto tempo a disposizione. Soffre infatti della stessa smania riscontrata in Stephanie Mangano o nella Donna Due. Come se la sola presenza fosse sufficiente ad acquisire per osmosi la conoscenza. Gente che non riesce a stare a casa nemmeno una sera, che odia farlo, perché forse ha case così brutte che preferisce non vederle. Forse ha esistenze così brutte che preferisce non pensarci.

Autore: ufj | Commenti 0 | Scrivi un commento

  08.09.2008 | 16:21
ataturkenplatz
 
 

dalla turchia torno a casa con molti ricordi e uno scrigno colmo di sensazioni preziose. ancora sto riordinando le oltre 2000 foto che rappresentano il mio personale souvenir di quei giorni che già sento addosso quest'impellente necessità di evadere nuovamente, al più presto.
tra le mie foto preferite c'è questo 'instant shot' che scattai a selçuk in un afoso pomeriggio estivo. sara accelerava il passo attirata dai luccichii del mercato rionale; io girovagavo col naso per aria, finché non vidi quei due vecchietti laggiù...
il titolo, 'atatürkenplatz' scherza sulla somiglianza con le immense piazze desolate e rigidamente simmetriche marchiate ddr, quando il muro non era ancora diventato un mucchietto di calcinacci senza ideologia. pur non trattandosi di una foto propriamente 'turistica' l'ho inviata al concorso fotografico 'fotovacanze' indetto dalla 'gazzetta di parma' preferendola alla vendemmia di tramonti, templi, moschee et similia che affollano le altre 1999 foto del mio viaggio. qualcuno magari desidera vedersele tutte quante?

Autore: ufj | Commenti 0 | Scrivi un commento