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  30.10.2008 | 08:52
a meta' strada
 
 

il fatto è che quel cazzone di gualandri mi aveva promesso un'illustrazione. ecco perché ho aspettato così a lungo prima di mettere online qui e su tapirelax questa recensione.

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Blue öyster cult 17/9/2008 – Trezzo d’Adda, Live club

A metà strada tra i Judas priest e gli Uriah heep; a metà strada tra quell’hard rock inglese un po’ prog-intelligentone e quello americano un po’ hair-scoreggione. A metà strada tra Milano e Bergamo, dove per raggiungere il Live devi guardare le frecce e andare scrupolosamente dall’altra parte, e quando sei convinto di esserti perso vuol dire che ti sei proprio perso, e occhio al finestrino ché le zanzare là in fondo hanno in zampa coltello e forchetta, il tovagliolo attorno al collo e la Cavalcata delle Valchirie nel walkman.
A metà strada tra gli ZZ tops e Cochi & Renato, tra Angus & Malcolm Young e il Duo di Piadena, tra Simon & Garfunkel e i fratelli Slug, Eric Bloom e Buck Dharma, voce e chitarra dei Blue öyster cult, occhiali da sole, pantaloni di pelle, T-shirt nera e buzza da birraioli impenitenti, salgono sul palco alle 22.30 di un mercoledì qualunque, davanti a un’audience a metà strada tra il sold out e l’a n’gh’è un càn.

Silenzio. La band attacca la spina.
I gemellini Bloom&Dharma gigioneggiano a metà strada tra il come eravamo e il guardate: ce la possiamo ancora fare; il bassista, già membro di WhitesnakeOzzy, Dio e molti altri, fa più salti in alto che giri di basso; il batterista muove le bacchette nell’aria come se avesse uno zanzarone intorno, presente?, molta concentrazione ma poco ritmo. E il tastierista? Là nell’angolo, dietro un grande tastierone multipiano trafugato dal bidone della spazzatura posto davanti alla villa di Jean-Michel Jarre, lì dietro c’è un certo Pasquale Strappaloculo, o qualcosa del genere, siciliano, un ometto tozzo e sgraziato provvisto di una polposa frangia da bobtail a metà strada tra School of Rock e il venditore di fumetti dei Simpson. Ma che ci sta a fare sul palco di un concerto rock un botolo del genere?

Poi, a un certo punto, quando sto per finire le sigarette e finanche la pazienza, parte dal niente una roba che identificheremo col nome in codice di Last day of May. Bloom, il cantante, si defila, anzi, proprio si nasconde dietro la tastierona e per quindici minuti non fa più un cazzo di niente. In compenso, Gaetano Staccacappella imbraccia la chitarra e ci fa un a-solo che, Cristo, vale da-solo i 32 € del biglietto.
Da lì in poi il concerto è un vero crescendo. I due distratti fanti del ritmo trovano il passo giusto e si trasformano in leggiadre cavallerizze; i gemellini B&D si svegliano dai torpori asfittici dell’andropausa e trovano finalmente il fiato giusto; Salvatore Cazzodicuoio saltella sulle gambette come se gli avessero infilato un intero ampli di duracell nel sederone e non pago fa pure la voce solista nell’ultimo pezzo, sfoderando un’ugola a metà strada tra un Joe Lynn Turner appena mollato dalla morosa e un Bob Seger cui hanno levato le adenoidi col trinciapollo.
Due concerti in uno, il primo men che mediocre, il secondo più che strepitoso, e il pubblico, noi, lì a metà strada, indecisi se incazzarci e lanciare sul palco bicchieri e piatti vuoti o pigliarci un’altra birra che stasera, ziocane, si fa tardi saltando, proprio come facevamo una volta.

Setlist
Summer of love
Before the kiss
Burnin’ for you
The red and the black
Harvest moon
Joan Crawford
Me 262
(false start) I love the night
Buck’s boogie
Last days of May
Godzilla (bass + drums solo)
Intro/ Don’t fear the reaper
Encore: See you in black
Second encore: Hot rails to hell

Band line-up
Eric Bloom: vocals/guitar/keys
Buck Dharma: guitar/vocals
Richie Castellano: keys/guitar
Rudy Sarzo: bass/vocals
Jules Radino: drums

Autore: ufj | Commenti 0 | Scrivi un commento

  23.10.2008 | 17:52
30 senza lode
 
 

ho fatto un fumetto.
per essere più precisi ho scritto una storia, l’ho mandata a gualandri e lui mi ha chiamato per dirmi ‘faremo un fumetto’. ho già elogiato numerose volte da queste pagine il suo indubbio talento di illustratore, ma voglio ribadire che mi onora il fatto che egli abbia deciso di fumettare proprio un mio racconto.
nei giorni scorsi mi sotto rotto la testa per cercare di mettere a posto i dialoghi e le didascalie: si trattava della mia prima volta e ho proceduto, come dire, a tentoni.
andremo in stampa fra un giorno o due, giusto il tempo per dare gli ultimi ritocchi.
e la settimana prossima saremo a 'lucca comics' con tapirulan per provare a promuoverlo un po'.
qui sopra, la prima copertina disegnata da gualandri e poi scartata dal nostro prepotentissimo ‘art director’ french. sotto, la postfazione che il tiranno mi ha commissionato, naturalmente all’ultimo momento, e che ho scritto questa mattina in orario antelucano. il capoverso finale su duchamp è comprensibile soltanto leggendo il fumetto.

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Durante il mese di agosto, il centro di Parma si trasforma in un incrocio tra un bagno turco a cielo aperto e un immenso fast-food per zanzare.
Tre loschi figuri passeggiavano quella sera per i vicoli deserti, le mani in tasca, il naso per aria, alla ricerca di una fresca birra ristoratrice e di un posto aperto dove tracannarsela. Non trovando di meglio, finirono per accontentarsi di Piazzale della Pace. Tre Moretti da sessantasei al baretto lì di fianco e poi seduti a gambe incrociate nell’erba. Nessuno dei tre sapeva bene che cosa aspettarsi da questa improvvisata serata di niente.
E forse fu proprio l’afa tutt’intorno, o il ronzio sordo delle zanzare, o il fatto che non c’era assolutamente niente da aspettarsi, o fu per chissà quale altra imperscrutabile circostanza che le singole storie divennero in breve tempo un inarrestabile fiume di parole. L’Accademia, le disavventure coll’altro sesso ai tempi dell’università – ed erano tante – e poi l’arte, la filosofia, il senso stesso della vita.
Le tre del mattino giunsero alfine repenti come un peto.

Due giorni dopo uno di loro disse: “Ho una storia da farvi leggere”.
Tre giorni più tardi il secondo rispose: “Abbiamo un fumetto da realizzare”.
Altri quattro giorni e il terzo domandò: “E io che cazzo faccio?”
Avevano un modo piuttosto rilassato di comunicare, quei tre.

Oh, che maleducato. Vi chiedo scusa. Ora ve li presento.
Quello pelato coi pochi capelli appoggiati sulle spalle alla Hulk Hogan è Andrea, il disegnatore. Di lui sappiamo che s’è laureato all’’Accademia di Belle Arti’ di Bologna, che nel 2005 ha vinto la ‘Biennale Internazionale dell’Umorismo nell’Arte’ di Tolentino e che dietro quella faccia da coglione calpestato da un tacco nasconde un’intelligenza sciabordante. Quello più alto, lo direste mai?, è il presidente di un’associazione culturale chiamata Tapirulan. Si fa chiamare French perché una volta s’è scopato una ragazzina francese dietro una siepe, e da allora vive nel taumaturgico ricordo di quel celestiale momento nell’attesa di un secondo avvento invero ben poco trascendente. Nella vita di mestiere fa il grafico. Il piccoletto là in fondo, quello che trafuga la birra dal bicchiere degli altri due ogni volta che si distraggono, quello è Alberto. A chiunque glielo domandi, risponde che di professione fa tutt’altro. Generalmente la gente lo guarda con aria interrogativa per qualche secondo, dopodiché scuote il capo e mormora ‘Ah, capisco’. Considera la scrittura una forma di terapia.
La loro comune ambizione è di sconfiggere Darth Fener, trombarsi Leila possibilmente tutti insieme e trasformare la Morte Nera in una casa di tolleranza multirazziale democraticamente governata da un triumvirato costituito naturalmente da Loro Tre. Dopodiché, muoveranno il loro eserciti verso la Terra di Mezzo coll’unico scopo di prendere a calci nel culo quei frocetti della Compagnia dell’Anello.
Un’ambizione difficilmente concretizzabile con un fumetto.

Appassionati di arte moderna, perlomeno a parole, tutti e tre ritengono che pisciare nella ‘Fontana’ di Duchamp sarebbe un gesto irresistibile, nonché artisticamente irreprensibile. Un gesto parecchio Duchamp-esco, a conti fatti.

Autore: ufj | Commenti 2 | Scrivi un commento

  16.10.2008 | 08:17
ascolti ancora guccini??!
 
 

io qua in giappone a farmi venire i maroni a mandorla e sara al concerto senza di me. fanculo.
sotto, la sua appassionata recensione. la foto proviene da qui. la fotogallery della gazzetta di parma è qui.

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Parma, Palaraschi, 10/10/2008 - concerto Francesco Guccini

Lasciai Sandro nell’estate del ’98, a Manchester, con una frase di Radici e gli occhi umidi.
Dieci anni dopo, in attesa che mamma e sorella si preparino per il concerto, cazzeggio su Facebook giusto per capire come cristo si carica una foto.
Un nuovo amico. E chi cazzo è lo sfigato al computer alle 8 di venerdì sera? Gomitolo nello stomaco: Sandro P.. Questa volta ci scappa la citazione più appropriata della storia.
Come speravo, narra dieci anni in poche frasi. Replico con un saluto. ‘Ascolti ancora Guccini??!’, chiede.

Gli occhi ancora sorridenti carico il parentado sulla Multipla e mi dirigo al palazzetto dello sport. E’ brutto proprio come lo ricordavo, ma stasera c’è un bel movimento composito di gente. Liceali in uniforme: maglia del Che, kefia e bottiglia. Mamme e papà con prole, toast e biglietto in mano. Vecchi nostalgici, barba bianca giù al petto e occhiali spessi.
Incontriamo gli amici e ci dividiamo, per convenzione: mamme sugli spalti e giovani trentenni, ahimè, seduti a terra davanti al palco.
Concerto che è come timbrare un cartellino. Il sesto in tredici anni; l’ultimo, due anni fa, così deludente che sono qui soltanto per ciò che è stato in passato.
Poi esce Francesco, grande e grosso più di prima. E ho la pelle d’oca.

Ahia... il Nostro ha mangiato e bevuto pesante: poco fiato e voce impastata. Qualche battuta su Parma e le ultime tristi vicende cittadine, ammiccamenti a Flaco, Ellade Bandini, Vince Tempera [rispettivamente chitarra, batteria e tastiere ] e si comincia: Canzone per un’amica, di rito.
La voce ancora c’è, si sta scaldando. Le sei/sette canzoni successive mi ricordano per ché sono qui, seduta a terra con pozzanghera di birra sotto al culo, giovincelli che premono per conquistare centimetri, schiena da nervo sciatico del giorno dopo. Nessun cartellino.
Il tema, L’atomica cinese, Canzone delle osterie di fuori porta, Vedi cara, Canzone quasi d’amore, Incontro... niente oltre il ’76. Francesco scazza i dischi di provenienza ma narra le sue storie, possente e dolce come a malapena ricordavo.
Le chiacchiere fra una canzone e l’altra non mancano, ennesimo omaggio alla tradizione. Certo, non è più il genio minore e mordace di quei giorni là, ormai andati. Ma le dichiarazioni di Berlusconi fan ridere da sole, figuriamoci messe in bocca al Guccio.
Seguono un paio di canzoni nuove, Su in collina e Il testamento del pagliaccio, che presto dimenticherò. Grande attesa e cori stonati per i nuovi classici, Don Chisciotte e Cirano, con levata del pubblico anzi tempo: i fondoschiena ringraziano, i puristi da locomotiva meno.
Il resto è... Eskimo. Centinaia di parole una in fila all’altra mormorate tra i denti, un omaggio che è un manifesto. Il vecchio e il bambino, Auschwitz, Dio è morto. Più che canzoni, il nostro imprinting emiliano. Nessuna Avvelenata ma non si levano proteste.
Infine, naturalmente, comincia piano ‘non so che viso avesse, neppure come si chiamava’... il tempo passa e il mio pugno dà segni di cedimento già alla sesta strofa. Mal di braccio e occhi lucidi. Sì, ascolterò ancora a lungo Guccini.

Autore: ufj | Commenti 0 | Scrivi un commento