blog.tapirulan.it
 
  22.02.2010 | 18:01
daniel pennac - signor malaussene
 
 

Per lo scrittore non esiste sensazione più intensa, più appagante del sapere di essere bravo. Avere la certezza di essere bravo. Una sensazione di eccitazione direi quasi sessuale. Giusto, certo. Ma che ne so io? Io parolaio men che dilettante, io che una sensazione del genere posso soltanto figurarmela, masturbarmela nel letto, solo, col buio, nel silenzio, prima di chiudere mestamente gli occhi a una notte ahimé inoltrata.
Io no, certo, ma Daniel Pennac deve saperne qualcosa di questa sensazione. So com’è andata: prima sua moglie, poi i parenti, infine gli amici. Poi gli editori, poi la critica, e poi gliel’ha detto la gente. Ultimo ma non ultimo, gliel’ha confermato il commercialista.
Ecco, della critica personalmente ho l’opinione come di omuncoli riottosi e bisbetici, ex teenager brufolosi di quelli che giocavano in porta perché erano i peggiori in campo, gente atavicamente rosa dall’invidia, dotati di un talento artistico pari più o meno al mio, ma corredati di una innata predisposizione alla bercia.
Della gente invece ho un certo rispetto. E’ per questo che m’incazzo così tanto quando si fanno pigliare per il culo da Moccia, da un trailer o da una pila di copie alla cassa dell’autogrill. Sì be’ ma questo c’entra poco. O no? Lasciamo stare, comunque.
Della gente ho rispetto, dicevo, e rispetto i molti che considerano Pennac un grande scrittore. Lo capisco, e li capisco. Personalmente, oltre al resto, a Pennac riconosco una subliminale capacità di toccare i nervi della gente, di tirare fili che la gente non sa di possedere. Di stimolarli. Di farli commuovere, ridere, eccitare. Di imbrogliarli per bene.
Eh, dopotutto cos’altro è, un romanzo, se non un (lungo) imbroglio di carta?
Diciamocelo: se c’è una cosa, una sola, più eccitante del sapere di essere bravi è sapere di essere bravi a imbrogliare. E più imbrogli più ti dicono che sei bravo.
Fico no?
Ma ecco, laggiù, guarda. Guarda quei nuvoloni. Li vedi? Sai cosa sono? No? Sono il peggior nemico dello scrittore fico. No, non si tratta della sindrome del foglio bianco, no. Peggio. Si chiama sindrome del foglio troppo pieno.
Del foglio troppo pieno di sé, della pagina che sprigiona autoindulgenza. Pennac, lei è una delle più autorevoli voci letterarie del XX secolo. Come  no. Ed ecco “Signor Malaussène”, l’attesissimo, l’ultimo e più ambizioso capitolo della tetralogia omonima. La buona scrittura c’è: spumeggiante, arguta, dissacratoria. Come e più di prima. Ci sono le situazioni, tante, troppe, ci sono i personaggi, tutti quanti, i vivi e i morti. C’è tutto, insomma. Tranne la storia. quella non avanza, s’impaluda, s’inceppa, s’infratta, s’incasina. Tonkbonktatonk. Troppe pagine senza trama (si dà gas attorno a pagina duecento), troppi paradossi che si ripetono, troppa indulgenza e autoindulgenza freak nei confronti dei buoni, naturalmente i Malaussène e combriccola. Troppo cattivi i cattivi, troppa necessità di redenzione per chi si redime. Troppo politicalicorret il finale (confesso che ho preferito quello alternativo a metà romanzo). Troppo tatlac, obliterato.
Esattamente il libro che l’editore voleva pubblicare.
Esattamente il libro che il critico desidera recensire.
Non esattamente il libro che il lettore vorrebbe leggere.
Qui sotto uno dei (numerosi) estratti capace di tirare i fili del cervello. Perlomeno del mio. L’ho mutilato, sì, ma solo per non rivelare momenti essenziali della trama.

----------------------

Rabdomant ha risposto soltanto: “Strana concezione della felicità...”. Poi ha puntato il dito verso il centro della Senna e ha detto: “La tre, Benjamin, stia attento a quello che fa!”
Ho rivolto lo sguardo alla terza canna da pesca. Di sicuro, qualcosa aveva abboccato. Il galleggiante sobbalzava. Qualcosa, sul fondo del fiume, si lasciava tentare.
“Cosa faccio?”
Rabdomant mi si è avvicinato e continuando a tenere d’occhi oi suoi galleggianti mi ha detto: “Non si faccia prendere dal panico. Aspetti che il pesce confermi prima di uncinarlo. Un bel tuffo del galleggiante e, hop, un bel colpo secco del polso. Mi raccomando, niente gesti teatrali: romperebbe il filo. Adesso! Beeeeeene”.
In effetti, ho sentito che l’avevo preso all’amo. In fondo alla mia lenza c’era della vita furente.
“Non tiri. Rispetti il suo malumeore, ma senza lasciarlo fare di testa sua. Lo accompagni, per così dire. Se quello vuole del filo, gli dia del filo, ma senza allentare. E’ la tecnica del pedinamento, insomma”.
Il mulinello mulinava rabbiosamente.
“Alt! Non dia troppo filo. Lo costringa a barcamenarsi facendo gli addominali, che non vada a nascondersi dietro un relitto. Tenga sempre presente che lui è il muscolo e lei è il cervello. Quando lui sarà stanco, sarà contento di venire da lei, come un colpevole sollevato all’idea di farsi prendere. Quello è L* e lei è S*...”
Dopo qualche tempo ho visto emergere la spina dorsale di quel L* acquatico. Pura bellezza! Una vela di sampan sotto il nostro cielo primaverile. Ha fatto un balzo... Affusolato dorato, obliquo e bello come un raggio di vita.
“Un lucioperca”, ha detto Rabdomant. “Otto o dieci libbre. Complimenti. Cucinato al burro bianco e con un buon Chablis, non le dico altro... Lo tiri su, adesso. Dov’è la sua reticella? Dev’essere sempre a portata di mano, la reticella! Il pescatore ha il dovere dell’ottimismo. Come lo sbirro!”
Ho tirato su piano e alla fine, estenuato dalla sua stessa resistenza, il pesce si è lasciato andare alla fatalità. E’ solo questa la ragione per cui si muore.
“Stia attento, quando lo tira fuori, ha una dentatura da luccio...”
Ma non ero in grado di tirarlo fuori.
“Dia qua”.
Due secondi dopo il lucioperca aveva abbandonato il suo elemento naturale. Rabdomant l’ha staccato con un sorriso da buongustaio. “Carino, il ragazzo, eh?”
E l’ha ributtato in acqua.
Il lucioperca, che tra le sue dita era come morto, è esploso di vita a contatto della Senna. “Solo per fargli sapere che Dio esiste”, ha spiegato Rabdomant, “ e che non bisogna abboccare al suo amo”.
Ho indicato le lasche, i ghiozzi, i pagelli, tutti i bianchetti del nostro cesto, i due persici e il pesce gatto e ho domandato: “Perché lui sì e loro no?”
“E’ proprio il genere di interrogativo che Dio non si pone”.

Autore: ufj | Commenti 0 | Scrivi un commento

  15.02.2010 | 10:20
ifigonia in culide
 
 

da catullo al vernacoliere, dall’aretino a frank zappa, la scatologia attraversa la storia della letteratura (o dovrei dire dell’arte tutta) simile a una millenaria scorreggia.
masini ottiene quel successo nazionale che il destino (le mani ben strette attorno agli onnipotenti maroni) ha sempre cercato di negargli, e lo fa con una canzone intitolata ‘vaffanculo’. saltando di palo in frasca non esiste concerto di guccini in cui, prima o poi, il pubblico non richieda a gran voce ‘l’avvelenata’. roberto benigni scrive una pagina di storia della televisione correndo dietro la carrà gridandole ‘fammi vedere la patata!’ e, di quella stessa pagina, scrive pure il retro con un monologo di cinque minuti in cui elenca tutti gli appellativi - più o meno noti - del membro maschile (ricordo bene che ‘sventrapapere’ fu il mio preferito).
trafficando con internet mi imbatto in un sito amatoriale che contiene un poemetto goliardico. ho cominciato perplesso, ma sono arrivato in fondo piegato sul tavolo. qui sotto il primo atto, il testo completo qui.
la foto è stata scattata dal sottoscritto nei pressi di marienplatz, a monaco di baviera, giusto un annetto fa.

----------------------

Ifigonia in culide
Tragedia classica di autore ignoto Corinto 69 d.C.

Personaggi: Il Re di Corinto, Ifigonia, sua figlia, Allah Ben Dur, primo pretendente Don Peder Asta, secondo pretendente, Uccellone, Conte di Belmanico, terzo pretendente, Spiro Kito Samurai, quarto pretendente, Enter O'Clisma, Gran Sacerdote, In Man Lah, Gran Cerimoniere, Bel Pistolino, Elefante sacro, Coro di Nobili, Vergini e Popolo.
Il dramma si svolge in Corinto nell'anno 69 d.C..

ATTO PRIMO Scena: sala del trono. Le porte sono aperte per dare accesso al popolo. Entra il Gran Cerimoniere.

Gran Cerimoniere: O popolo bruto, su, snuda il banano, non vedi che giunge l'amato sovrano? E' il sir di Corinto dal nobile augello qual mai fu veduto piu' duro e piu' bello; e' il sir di Corinto dall'agile pene terrore e ruina del fragile imene; e' il sir di Corinto dal cazzo peloso, del cul rubicondo ognora goloso.
Popolo: Noi siamo felici, noi siamo contenti, le chiappe ed il culo porgiam riverenti. Al nostro gentile ed amato sovrano sia dono gradito il buco dell'ano.

(Entra il re seguito dalla corte.)

Re: La gioia che mi doni, o popolo, e' si' grande che piu' l'uccello regio non sta nelle mutande! Per mio regal decreto sara' da domattina distribuita ai poveri, gratis, la vaselina! Voglio sian compensati i sudditi fedeli: il cul pigliate pure, ma state attenti ai peli!

(Segni di manifesta gioia.)

Gran Cerimoniere: Ed ora fuori tutti dai coglioni per lasciar posto a principi e baroni.

(Il popolo fa largo ed entrano i nobili che si dispongono ai lati del trono. Ifigonia entra seguita dalle vergini e si getta piangente ai piedi del trono)

Coro delle Vergini: Noi siamo le vergini dai candidi manti: siam rotte didietro ma sane davanti, i nostri ditini son tutti escoriati a furia dei cazzi che abbiamo menati. Nell'arte sovrana di fare i pompini battiamo le troie di tutti i casini; la lingua sapiente e l'agile mano dan gioia e delizia al duro banano!

Ifigonia: Padre mio, padre mio! Presa sono dal desio; ho gia' un dito che fa male per l'abuso del ditale; ho la fica che mi tira come corda di una lira; sto soffrendo atroci pene pel prurito dell'imene; nella fica ho appena messo la manopola del cesso; mi ficcai nella vagina la piu' grossa colubrina; mi son messa dentro al buso sino il cero di Caruso. Padre mio si' forte e bello, ho bisogno di un uccello d'un uccel di nobil schiatta che mi sballi la ciabatta di una fava grossa e dura che mi spelli la natura.

Re: Giuste son le tue brame, o figlia beneamata! Se padre non ti fossi, o gia' t'avrei chiavata! Alla regal consorte, tua madre, la regina, ne ho fatte diciassette, soltanto stamattina, e debbo, alle mie brame, io stesso porre un freno, se no, ogni tre minuti, il bandolo mi meno. Or sento gia' un prurito nel fondo dei coglioni vedendo tanti culi di principi e baroni.

Popolo: Noi siamo felici, noi siamo contenti, si rizzino i cazzi tutt'ora pendenti: Madonna Ifigonia, soave e pudica, gia' sente prurito nell'inclita fica. Che Giove possente, che Venere bella le facciano dono di tanta cappella che il culo le rompa, le rompa l'imene e infine la tolga da tutte le pene. Sia pago il desio della vergine cara: Meniamoci il cazzo in nobile gara!

(Tutti eseguono)

Ifigonia: Quanta fava, quanta fava! Ma perche' nessun mi chiava! Su, ficcatemi l'uccello nella fica o nel budello; nella fica o nel sedere, ve lo chiedo per piacere! Deh! Non fatemi soffrire! Ve la cedo per tre lire!

Re: Udendo queste ataviche, oneste aspirazioni, d'orgoglio mi ribolle lo sperma nei coglioni: con animo commosso vedo dai bianchi veli spuntare lunghe e nere le punte dei tuoi peli. Il sacerdote venga, si appresti al sacrificio, Enter O'Clisma tosto ne tragga lieto auspicio!

Gran Cerimoniere: S'avanzi Enter O'Clisma, il sacerdote dal culo piu' vezzoso delle gote!

(Entra il sacerdote)

Gran Sacerdote: Al sire di Corinto, signore degli Achei auguro cazzi in culo almeno centosei.

Re: Al grande sacerdote, d'ogni rispetto degno, si doni come omaggio un gran cazzo di legno.

Gran Sacerdote: L'omaggio tuo, mio sire, ni rende il cuore gaio, pero' l'avrei piu' caro di ben temperato acciaio.

Popolo: Noi siamo felici, noi siamo contenti,prendiamo l'uccello ben stretto tra i denti; al gran sacerdote quel cazzo d'acciaio il culo riduca si' come mortaio.

Gran Sacerdote: Son corso immantinente alla regal chiamata lasciando nel bel mezzo la settima chiavata sono percio' sicuro, se il ciel non me lo nega, che mi compenserete con una bella sega. Esprimi i tuoi voleri, o sire venerando, in fretta, te ne prego, non vedi come bando?

Re: Alla mia figlia amata, la pallida Ifigonia, da qualche tempo prude la lucida begonia: tu sacerdote eccelso, chiuditi in sagrestia, prendi l'uccello in mano e tranne profezia.

Gran Sacerdote: Immantinente eseguo i tuoi voleri, o re! Nel regal culo t'auguro cazzi duecentotre!

Ifigonia: Santo Dio, Santo Dio, questa volta l'avro' anch'io! Sospirando quel bellino, voglio farmi un ditalino; ve lo chiedo con permesso, vo' a tirarmelo nel cesso!

(fa per avviarsi)

Re (trattenendola): Rimani, o sconsigliata! Il padre tuo diletto innanzi al popol tutto ti grattera' il grilletto mentre il cerimoniere, memore del mio pegno, t'inculera' dal dietro, col cazzo suo di legno. Se con le bianche mani mi tieni su i coglioni vedrai nella mezz'ora quante polluzioni!

Popolo: Noi siamo felici, noi siamo contenti, il re ce l'ha duro in tutti i momenti, seguiamo l'esempio del caro sovrano, facciamoci forza, pigliamolo in mano!

Gran Sacerdote: Nel filtro del futuro apersi uno spiraglio (entrando) mettendomi nel culo un mezzo spicchio d'aglio!

Re: I detti tuoi sapienti son rapidi e fatali come fuori dell'ano i nodi emorroidali.

Gran Sacerdote: Seguendo il tuo consiglio, o re buono e sapiente, misi l'uccello duro sopra un bicchiere ardente; lessai il coglion sinistro, ne bevvi poscia il brodo, grande e divino auspicio traendone in tal modo tra i principi del sangue dal ben tornito augello bandito sia il concorso con un indovinello: che' in fica di Ifigonia, la bella non si vada se pria non verra' sciolta almeno una sciarada.

(cala rapida la tela sul primo atto)

Autore: ufj | Commenti 2 | Scrivi un commento

  05.02.2010 | 12:14
italo calvino - la giornata d'uno scrutatore
 
 

Ho modo di incontrare Robirobi troppo di rado.
In verità ci vediamo piuttosto spesso, ma il più delle volte c’è tempo soltanto per un saluto.
Quando si riesce a fare due chiacchiere prima o poi si finisce col parlare di libri.
Quando parliamo di libri prima o poi si finisce col parlare di Calvino.
A quel punto, io mi dileguo in fretta adducendo scuse del tipo “Ora vado a prendere una birra” o, se la birra ce l’ho già “Ora vado a pisciare”.
Il fatto è che Calvino, io, non l’ho mai letto. E non so come dirglielo. Mi vergogno troppo.
Veramente, a pensarci bene qualcosa forse emerge dalla nebbia dei ricordi. Sì. Avevamo letto qualcosa alle medie, sì. Degli estratti da “Il barone rampante”, mi pare, o forse da “Il visconte dimezzato”. Ma onestamente non ricordo un singolo rigo.
Ora ci ho messo una pezza, e non vedo l’ora di dirlo a Robirobi.
In realtà “La giornata d’uno scrutatore” non ha la forma del romanzo né la pretesa di raccontare una storia. Si tratta di una serie di riflessioni, sovente amare, sull’italietta spensierata degli anni sessanta e sui suoi discutibili costumi.
Di Calvino avevo l’opinione (riportata) come di un narratore dalla prosa semplice eppure straordinariamente evocativa. Uno scrittore estremamente profondo eppure capace di farsi capire, appunto, anche da un ragazzino delle medie.
Però non credo che alle medie qualcuno farà mai leggere “La giornata d’uno scrutatore”. Ma non per i contenuti, no. La frase qui sotto, per esempio. Io stesso l’ho dovuta leggere quattro o cinque volte. E non sono mica sicuro d’avere afferrato il concetto.
Sì, ho detto la frase. E’ una sola. Già.

----------------------

Anche nel suo dirsi “comunista” (e nel percorso che, per designazione del suo partito, egli compiva in quest’alba umida come una spugna) non si distingueva fin dove arrivasse un dovere tramandato di generazione in generazione (tra i muri di quegli edifici ecclesiastici Amerigo si vedeva – un po’ ironicamente e un po’ sul serio – dalla parte d’un ultimo anonimo erede del razionalismo settecentesco – sia pur solo pep un esiguo resto di quell’eredità mai saputa far fruttare – nella città che tenne Giannone in ceppi) e fin dove lo sbocco in un’altra storia, vecchia appena d’un secolo ma già irta d’ostacoli e passi obbligati, l’avanzata del proletariato socialista (allora era attraverso le “contraddizioni interne della borghesia” o l’“autocoscienza della classe in crisi” che la lotta di classe era arrivata a smuovere anche l’ex borghese Amerigo), o meglio la più recente – d’una quarantina d’anni soltanto – incarnazione di quella lotta di classe, dacché il comunismo era diventato potenza internazionale e la rivoluzione s’era fatta disciplina, preparazione a dirigere, trattativa da potenza a potenza anche dove non si aveva il potere (attraeva dunque anche Amerigo questo gioco di cui molte regole parevano fissate e imperscrutabili e oscure ma molte si aveva il senso di partecipare a stabilirle), oppure, all’interno di questa partecipazione al comunismo, era una sfumatura di riserva sulle questioni generali, che spingeva Amerigo a scegliere i compiti di partito più limitati e modesti come riconoscendo in essi i più sicuramente utili, e anche in questi andando sempre preparato al peggio, cercando di serbarsi sereno pur nel suo (altro termine generico) pessimismo (in parte ereditario anche quello, la sospirosa aria di famiglia che contraddistingue gli italiani della minoranza laica, che ogni volta che vince s’accorge d’aver perso), ma sempre in linea subordinata a un ottimismo altrettanto e più forte, l’ottimismo senza il quale non sarebbe stato comunista (allora bisognava dire, prima: un ottimismo ereditario, della minoranza italiana che crede di aver vinto ogni volta che perde; cioè l’ottimismo e il pessimismo erano, se non la stessa cosa, le due facce della stessa foglia di carciofo), e, nello stesso tempo, al suo opposto, il vecchio scetticismo italiano, il senso del relativo, la facoltà di adattamento e attesa (cioè il nemico secolare di quella minoranza: e allora tutte le carte tornavano a imbrogliarsi perché chi parte in guerra contro lo scetticismo non può essere scettico sulla sua vittoria, non può rassegnarsi a perdere, altrimenti si identifica col suo nemico), e sopra tutto l’aver capito finalmente quel che non ci voleva poi tanto a capire: che questo è solo un angolo dell’immenso mondo e che le cose si decidono, non diciamo altrove perché altrove è dappertutto, ma su una scala più vasta (e anche in questo c’erano ragioni di pessimismo e ragioni di ottimismo, ma le prime venivano nella mente più spontanee).

Autore: ufj | Commenti 1 | Scrivi un commento