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  27.04.2010 | 13:11
for sale baby shoes never worn
 
 

Durante la presentazione di Souvlaki di sabato scorso, mentre intervistavo uno degli autori, ho proposto la seguente questione: Hemingway ha scritto un racconto di sei parole che dice "Vendesi, scarpe da bimbo, mai usate ". Ebbene: quant'è il numero minimo di parole affinché un racconto possa definirsi tale? (nota: l'autore era pubblicato con un racconto di non più di una quindicina di righe). Nel corso della presentazione sono stati in molti a dire la loro.
Gli amici del C56 hanno fatto altrettanto.
Questa che segue è - più o meno - la mia opinione.
L'immagine sopra è Summer interior di Edward Hopper

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Prendete un racconto di Carver. Prendete un qualunque racconto di carver. Ce n’è uno qui, nel mio blog. Non è il migliore, era solo il più corto, il più comodo da trascrivere.
I racconti di Carver si sviluppano attorno a un episodio insignificante. Un frigo rotto, una torta non consegnata, un piattino d’argento usato come posacenere. In Carver c’è così tanta profondità e consapevolezza narrativa che quella pagina e mezza che parla del posacenere riassume tutta la vita di un uomo, la sua inestinguibile disperazione.
Che c’entra Carver? Niente. Assolutamente niente. E’ che Hemingway non l’ho mai letto. Mi serviva un altro scrittore alcolizzato, tutto qui.

Prima di tutto il testo esatto: “For sale: baby shoes, never worn”.
Allora: si tratta di un racconto? Ma certo. Mille volte certo.
Innanzitutto l’ambientazione. Dunque. E’ sicuramente un racconto grottesco. Dico, chi mai metterebbe in vendita le scarpine di un bimbo mai nato? Un’ambientazione chiaramente metafisica. Quell’annuncio sta dentro una testa. Come? Vediamo.

Primo mattino.
L’uomo sbatte la porta e barcolla fino al divano. Le prime sere soleva far tardi insieme agli amici, diceva che era il suo modo di reagire. Ora tira mattina da solo. Si accascia sul divano senza levarsi i vestiti. Sdraiato così, il soffitto gli gira intorno. Ha un conato e fa per alzarsi. Ricaccia giù tutto. Al lato opposto del divano, sull’altro bracciolo, le scarpe sono chiazzate di vomito. Con la mente ritorna indietro a quando era ragazzino, e sua madre lo sgridava perché aveva sempre le scarpe sporche di fango. Ripensa a com’era diversa la vita quando ancora tutto questo non era successo. Sorride, e si assopisce.
Una camera da letto, un letto matrimoniale. Sfatto. Penombra. Serrande abbassate. Nella stanza c’è un odore stantio. La porta è aperta. La donna giace supina nel letto, avvolta in una camicia da notte stropicciata. Non si alza da giorni, forse da settimane. Singhiozza. Le scarpine sono ancora nella scatola, incartate con carta regalo, lì, sul comò. C’è un grosso fiocco rosa. Improvvisamente un pensiero assurdo balena nella testa della donna. Ha la forma di un annuncio commerciale. La donna sghignazza.
Fine.

Obiezione: sì, ok. Ma Hemingway tutto questo non l’ha mica raccontato. Lo stai facendo tu.
Risposta: davvero? Ne siete proprio così sicuri?

Autore: ufj | Commenti 1 | Scrivi un commento

  21.04.2010 | 18:28
e chi se ne frega
 
 

Quando iniziai a parolare qui dentro decisi che non avrei mai postato cose del tipo: “Uuuaaa va’ ’sta roba. E’ una figata pazzesca”, linkando poi pixellosi filmini di youtube, power point di donnine molto scomodamente svestite e agghindate in pose genitalmente plastiche – indipendentemente dal loro tasso di passeraggine – , siti strampalati, blog di nevrotiche attricette estremorientali da un milione di visitatori al giorno. No. Niente di tutto questo. Qui ci sarebbe stato spazio per me soltanto, per me e per tutto ciò che mi riguarda. Un geyser settimanale di egocentrismo.
Poi do un’occhiata alla mia cartella chiamata “minchiate” e scopro che dentro ci sono 10 gigabytes di – appunto – minchiate.
Dieci gigabytes sono quasi settemila floppy disk. Ne deduco che l’internettenimento è indubitabilmente parte di me.
E allora ecco i miei favoriti tra gli Nmila che compongo i dieci più inutili gigabytes di questo hard disk. Agli occhi di un internettaro tutto ciò parrà visto e rivisto. E chi se ne frega.

Il filmino più visto di sempre su youtube. Ci sarà una ragione. Evolution of dance di Judson Laipply (150 milioni di visite). Come diventare celebri postando un video su youtube. Carino anche l’altrettanto stravisto filmino sui gatti (26 milioni di visite). Io odio i gatti ma il micino che mette in fuga l’orso è grandioso.
L’inversione. Una delle più semplici forme di comicità. La città degli stuntman in realtà è uno spot pubblicitario. Talmente divertente da essere inefficace come spot. Provate, a fine filmino, a ricordarvi cosa pubblicizza. Tutt’altro discorso, quanto a efficacia, per questo splendido (e censuratissimo in America) esempio di pubblicità comparativa.
Per causa delle sue frequenti sortite pubbliche, qualcuno pensa che Rémi Gaillard appartenga a quel plotone imperversante di presenzialisti alla Paolini. Questo filmato delinea efficacemente il confine tra questi e quello. Esiste (cercatelo), un sequel altrettanto esilarante. Quanto a Paolini, è un peccato che abbia tolto le sue foto coprofile dal sito: difficile, anche in rete, vedere uno stronzo che ne mangia un altro.
Il wedcast è una pratica sempre più diffusa tra gli internettari. Tra i tanti, il migliore è e sempre sarà Don Mauro. Dovessi mai sposarmi, sarà lui a officiare.
Della gnocca? Come no! Dopotutto sette dei dieci gigabyte del mio HD appartengono alla categoria. Una sola, su tutte: la meravigliosa Sabrina Salerno. Guardate la data del filmino e verificate su Wikipedia. La pulzella aveva (allora) sedici anni. Portati bene, vero?
Possiamo chiudere canticchiando? Sì? Allora alzate il volume delle casse. E chi se ne frega. Marco Masini. E’ tutto vero, ho controllato. Ma credete: la cosa più divertente non è la canzone, né il video. E’ Masini che riferisce pubblicamente di avere ricevuto i complimenti da James Hetfield in persona (e scusate se non linko, ma ero talmente sbigottito che ho perso il sito).

La foto qui sopra proviene da un altro sito cult per gli internettari. L’autore dello scatto è un tale Christophe Gowans. Giù il cappello.

Autore: ufj | Commenti 1 | Scrivi un commento

  08.04.2010 | 18:02
il mio corpo che cambia
 
 

Tutti i giorni, durante la pausa pranzo, vado a mangiare dalla mia mammina.
Ieri lei non era in casa, ma io sono andato ugualmente. Non coll’idea di pranzare, non avevo fame, ma per schiacciare un corroborante pisolino.
Sono entrato, mi sono aggirato per le stanze buie fino al letto. Mi sono levato le scarpe e mi sono coricato nella mia posizione preferita, cioè a pancia in su. Tempo pochi secondi e ronfavo come un raduno di motoseghe. A volte mi sveglio da solo, da tanto che russo forte.
Al risveglio però un po’ di fame ce l’avevo. Sono andato in cucina e al buio ho trovato la scatoletta del cioccolato. L’ho aperta, ne ho preso un pezzo e l’ho mangiato. Poi ho notato sul pianale una piccola scaglia e ho mangiato pure quella. Quando mi sono accorto che: uno era amarissima e due sicuro che non era cioccolato, era già troppo tardi. L’avevo ingollata.
Da quelle parti del pianale mia madre spesso tiene le medicine che deve prendere nel corso della giornata.
Che cosa avrò ingurgitato?
Da ieri pomeriggio sto tenendo sotto stretta sorveglianza il mio corpo. Attento a ogni minimo sintomo. La voce è leggermente più roca di ieri, più da trans, ma credo si tratti del raffreddore che è finalmente scoppiato. Poi mi sento lo stomaco un po’ gonfio, ma lì credo sia stato per via delle quattro birre di ieri sera. Il resto sembra tutto a posto.
A parte che sono andato a cagare quattro volte.
Che fosse una purga?

Sempre in tema di corpi che cambiano, si appropinqua il nostro weekend fiorentino. Di solito, quando propongo delle buone idee, i miei amici tintognano: maaaa, vediamooo, non sapreiiii e poi finisce che non si fa un cazzo. Invece quando mi vengono delle idee idiote quelli aderiscono sempre col massimo entusiasmo.
Ebbene: sabato 17 aprile in quel di Firenze assisteremo al concerto della reunion Ghigo/Pelù nei Litfiba. Ce n’era davvero bisogno? Per noi sarà l’occasione, l’ennesima, di sbevazzare un po’ e abbuffarsi in qualche osteria.
Vent’anni fa i Litfiba erano una live band stratosferica e Pelù una furia sul palco. Nel 1993, appesantiti da birra figa e tortellini, i ragazzi cominciavano a deludere. Quando li vidi, gratis, alla festa dell’unità di Reggiolo nel 2001 con Cabo alla voce pensai che erano davvero pronti per la naftalina.
E ora?
La foto qui sopra ritrae la band nel 1982. Tre anni prima dell’uscita di Desaparecido. Niente male, vero?

Autore: ufj | Commenti 3 | Scrivi un commento

  06.04.2010 | 19:08
leonardo sciascia - candido
 
 

Qui la mia recensione del libro per gli amici di Maidireblog

Autore: ufj | Commenti 0 | Scrivi un commento