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  30.10.2012 | 00:56
il cosiddetto punto di non ritorno
 
 

Ieri sera ho sognato una mia amica. Io e lei ci conosciamo da quasi trent’anni, eppure scommetterei che era la prima volta che mi capitava di sognarla.
Eravamo in una scuola elementare. C’erano bambini dappertutto. Io e lei eravamo gli unici due adulti. Per un disguido burocratico il nostro esame di quarta elementare non era mai stato reso ufficiale. Dovevamo rifarlo. Era una cosa non da poco: nel sogno l’esame di quarta elementare era l’esame più difficile di tutta la carriera scolastica. Seicento domande a scelta multipla. Eravamo entrambi nervosi. Cominciarono a succedere tutte quelle cose assurde che succedono generalmente nei sogni. Prima non riusciamo a trovare l’aula, poi le seggioline dei bambini erano troppo piccole per noi, la biro non scriveva, continuavo a sbagliare a mettere le crocette. Cose del genere.
Poi con quell’incoerenza sublime tipica dei sogni la scena mutò. Ora eravamo soltanto io e la mia amica. Sembrava che stessimo aspettando qualcosa. Forse l’esito dell’esame. Lei mi girava la schiena nuda e mi chiedeva di grattarla al centro, sotto il gancio del reggiseno. Io obbedivo e grattavo per un po’. Poi lei si girava e mi chiedeva di fare altrettanto, però davanti. La mia amica non ne avrebbe bisogno ma dato che c’ero, nel sogno, le avevo messo una taglia o due in più. Grattarla in quel punto non era facile. Continuavo a sfregare le nocche contro le tette che ballonzolavano su e giù. A un certo punto la mia amica faceva una faccia che significava più o meno ma cosa devo fare io con te, dimmi, cosa devo fare?, mi prendeva per i polsi e si posava le mie mani sulle tette. Per qualche secondo gliele palpeggiavo di gusto. Poi però entrava in scena Sara, piazzava le mani sui fianchi e diceva con una voce molto stridula: “Alberto, si può sapere cosa stai facendo?”
In quell’istante mi sono svegliato.
Dalla finestra entrava un po’ di luce, ma non tanta. Sara dormiva di fianco a me girandomi la schiena. Faceva finta di niente. Le ho mollato uno schiaffo sul sedere.
Sara ha sobbalzato e poi mi ha domandato se per caso ero impazzito.
Le ho raccontato il sogno.
Sara mi ha domandato di nuovo se per caso ero impazzito. Poi si è rimessa a dormire consigliandomi di non riprovarci.
Ebbene, da un lato concordo con voi che il sogno era tutto mio e Sara non aveva fatto niente, ma se io sto sognando di smanacciare le tette di un’amica molto prosperosa e Sara interviene nel sogno a domandarmi cosa sto facendo, ecco, allora forse Sara non ha fatto niente quella sera lì, ma in generale qualcosa alla mia psiche ha fatto. Qualcosa collocato a metà tra il gravissimo e il cosiddetto punto di non ritorno. Non vi pare?

Autore: ufj | Commenti 0 | Scrivi un commento

  08.10.2012 | 20:33
takes?
 
 

Alcuni anni fa decisi di partecipare a qualche premio letterario. Fino a quel momento avevo scritto pagine e pagine di diari e racconti ma non avevo mai preso in considerazione che in mezzo a quel guazzabuglio ci fosse qualcosa che potesse risultare fruibile a un lettore che non fossi io stesso. Misi da parte l’imbarazzo, pagai la quota di iscrizione e inviai un racconto a un concorso. Non fui selezionato. Be’ pazienza, pensai. Partecipai a un altro concorso. Il risultato fu il medesimo. Al quinto o sesto concorso il risultato fu diverso. Ricevetti una mail che mi informava che il mio racconto era stato selezionato per l’antologia. Nei fui lieto. No, di più. Ero raggiante. In realtà non si trattava di un vero e proprio concorso perché non c’era un vincitore. Non c’era neanche una presentazione. Alcune settimane più tardi ricevetti un pacchetto. Era una copia del libro. Il mio racconto apriva l’antologia. Non era stato editato. C’erano ancora dei refusi, tipo i doppi spazi dopo una virgola, qualche maiuscola dimenticata e via discorrendo. Erroneamente avevo inviato il racconto in corsivo invece che stampatello. Fu pubblicato così, tutto in corsivo. Nel complesso la veste grafica era approssimativa e le fotografie che accompagnavano il volume dozzinali. Mi sentii avvilito. Quelli non avevano fatto un libro. Avevano preso il mio racconto e lo avevano incollato in un file più grande contenente anche gli altri racconti e un certo numero di foto e poi avevano dato tutto alle stampe. Il volume non era distribuito e si poteva acquistare solo online nel sito della casa editrice. A parte un sito amatoriale, in rete non esistevano recensioni del libro. Che senso aveva tutto ciò? Decisi che non avrei più partecipato a concorsi di racconti.
Nei due o tre anni successivi una manciata di racconti mi furono pubblicati dalla rivista La luna di traverso. I ragazzi della redazione fanno una rivista letteraria con cadenza più o meno quadrimestrale. Mi piacciono i contenuti e lo spirito dell'iniziativa. Le iscrizioni sono aperte a tutti e sono gratuite. Non voglio soffermarmi sulla questione venale, convengo che una quota di iscrizione di dieci, quindici euro non sarebbe tanto, ma la pubblicazione gratuita testimonia a mio avviso una voglia di fare per pura passione, al di là dell’interesse economico. A onore di cronaca la stessa redazione mi ha pubblicato un’altra manciata di racconti sul quotidiano locale L’informazione di Parma.
Recentemente mi è venuta voglia di raccogliere tutti i miei racconti in un volume. L’editoria a pagamento non mi piace e non mi interessa. L’idea di pagare per essere pubblicato mi suona un po’ come dare dieci euro a una ragazza per sentirmi dire che ho il pisello grosso. L’editoria on demand in genere produce libri scadenti. Allora se devo pagare ho deciso che il libro me lo faccio io, come voglio io. Naturalmente, con l’aiuto determinante dei miei amici. Sì, il libro lo faremo noi cinque: io, Guido, Robi, Fabio e Gual. Se qualcuno vorrà acquistarlo allora bene, vorrà dire che rientrerò un po’ nelle spese, altrimenti lo regalerò ai miei amici.
Magari un giorno ne manderò qualche copia agli editori veri. Se gli piacerà, allora chissà, magari diventerò famoso. In caso contrario, be’ pazienza.

Qualcuno potrebbe chiedersi come mai organizzo un concorso di racconti se in realtà li disprezzo. Secondo me il punto è che la maggior parte dei concorsi letterari, non tutti, intendiamoci, però molti, serve a fare girare dei soldi sotto forma di quote di partecipazione e/o sovvenzioni statali, comunali o private. Nel caso di Tapirulan, e l’ho detto anche ieri durante la presentazione di Bombeiros, il concorso letterario non è che un mezzo. Importante, indispensabile, sì, ma comunque un mezzo. Il fine ultimo è il libro, e l’unica cosa che conta è che sia il migliore possibile per forma e contenuti.
A onor del vero io non sono più l’organizzatore del concorso perché sono dimissionario. Ma questa è un’altra storia, che non ha nulla a che vedere con la mia ferrea convinzione dell’assoluta eccellenza delle pubblicazioni di Tapirulan.

Il titolo di questo post è anche il titolo provvisorio dell’antologia. Sapete che la take è una ripresa cinematografica di una scena di un film o una seduta di registrazione musicale? Vi piace come titolo?
L’immagine qui sopra è un graffito attribuito a Banksy. Mi sono domandato anch’io quale meccanismo mentale me l’ha fatto scegliere a corredo di questo post. Mah.

Autore: ufj | Commenti 4 | Scrivi un commento