Alcuni anni fa decisi di partecipare a qualche premio letterario. Fino a quel momento avevo scritto pagine e pagine di diari e racconti ma non avevo mai preso in considerazione che in mezzo a quel guazzabuglio ci fosse qualcosa che potesse risultare fruibile a un lettore che non fossi io stesso. Misi da parte l’imbarazzo, pagai la quota di iscrizione e inviai un racconto a un concorso. Non fui selezionato. Be’ pazienza, pensai. Partecipai a un altro concorso. Il risultato fu il medesimo. Al quinto o sesto concorso il risultato fu diverso. Ricevetti una mail che mi informava che il mio racconto era stato selezionato per l’antologia. Nei fui lieto. No, di più. Ero raggiante. In realtà non si trattava di un vero e proprio concorso perché non c’era un vincitore. Non c’era neanche una presentazione. Alcune settimane più tardi ricevetti un pacchetto. Era una copia del libro. Il mio racconto apriva l’antologia. Non era stato editato. C’erano ancora dei refusi, tipo i doppi spazi dopo una virgola, qualche maiuscola dimenticata e via discorrendo. Erroneamente avevo inviato il racconto in corsivo invece che stampatello. Fu pubblicato così, tutto in corsivo. Nel complesso la veste grafica era approssimativa e le fotografie che accompagnavano il volume dozzinali. Mi sentii avvilito. Quelli non avevano fatto un libro. Avevano preso il mio racconto e lo avevano incollato in un file più grande contenente anche gli altri racconti e un certo numero di foto e poi avevano dato tutto alle stampe. Il volume non era distribuito e si poteva acquistare solo online nel sito della casa editrice. A parte un sito amatoriale, in rete non esistevano recensioni del libro. Che senso aveva tutto ciò? Decisi che non avrei più partecipato a concorsi di racconti. Nei due o tre anni successivi una manciata di racconti mi furono pubblicati dalla rivista La luna di traverso. I ragazzi della redazione fanno una rivista letteraria con cadenza più o meno quadrimestrale. Mi piacciono i contenuti e lo spirito dell'iniziativa. Le iscrizioni sono aperte a tutti e sono gratuite. Non voglio soffermarmi sulla questione venale, convengo che una quota di iscrizione di dieci, quindici euro non sarebbe tanto, ma la pubblicazione gratuita testimonia a mio avviso una voglia di fare per pura passione, al di là dell’interesse economico. A onore di cronaca la stessa redazione mi ha pubblicato un’altra manciata di racconti sul quotidiano locale L’informazione di Parma. Recentemente mi è venuta voglia di raccogliere tutti i miei racconti in un volume. L’editoria a pagamento non mi piace e non mi interessa. L’idea di pagare per essere pubblicato mi suona un po’ come dare dieci euro a una ragazza per sentirmi dire che ho il pisello grosso. L’editoria on demand in genere produce libri scadenti. Allora se devo pagare ho deciso che il libro me lo faccio io, come voglio io. Naturalmente, con l’aiuto determinante dei miei amici. Sì, il libro lo faremo noi cinque: io, Guido, Robi, Fabio e Gual. Se qualcuno vorrà acquistarlo allora bene, vorrà dire che rientrerò un po’ nelle spese, altrimenti lo regalerò ai miei amici. Magari un giorno ne manderò qualche copia agli editori veri. Se gli piacerà, allora chissà, magari diventerò famoso. In caso contrario, be’ pazienza.
Qualcuno potrebbe chiedersi come mai organizzo un concorso di racconti se in realtà li disprezzo. Secondo me il punto è che la maggior parte dei concorsi letterari, non tutti, intendiamoci, però molti, serve a fare girare dei soldi sotto forma di quote di partecipazione e/o sovvenzioni statali, comunali o private. Nel caso di Tapirulan, e l’ho detto anche ieri durante la presentazione di Bombeiros, il concorso letterario non è che un mezzo. Importante, indispensabile, sì, ma comunque un mezzo. Il fine ultimo è il libro, e l’unica cosa che conta è che sia il migliore possibile per forma e contenuti. A onor del vero io non sono più l’organizzatore del concorso perché sono dimissionario. Ma questa è un’altra storia, che non ha nulla a che vedere con la mia ferrea convinzione dell’assoluta eccellenza delle pubblicazioni di Tapirulan.
Il titolo di questo post è anche il titolo provvisorio dell’antologia. Sapete che la take è una ripresa cinematografica di una scena di un film o una seduta di registrazione musicale? Vi piace come titolo? L’immagine qui sopra è un graffito attribuito a Banksy. Mi sono domandato anch’io quale meccanismo mentale me l’ha fatto scegliere a corredo di questo post. Mah.
Autore:
ufj
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