Come, già finito? Non scherziamo, torna sotto la doccia che sei pieno di schiuma. Sì. Lì sul fianco. Non quello, l’altro. Quale, dici? Quanti fianchi hai? E tu, Gianni, le ciabatte? Niente ciabatte? Ecco perché tua mamma dice che prendi i funghi e non vuole che fai la doccia qui. Mettiti le ciabatte e vedrai che i funghi non li prendi. Max, il filo del phon è nell’acqua, vuoi morire? Ah, sì? Allora al prossimo allenamento affondo il tackle, non mi tiro indietro. Matteo, Matteo, guarda cosa stai facendo. Come, cosa? Le mutande sporche. Sì, quelle non sono le mutande sporche? Ci hai giocato tutta la partita. Te le rimetti dopo la doccia? Eh no, infatti. Direi di no. Ma neanche lì nella borsa insieme alle robe pulite. Sotto. Dove metti le scarpe. Ascolta, le robe sporche vanno tenute separate da quelle pulite sennò si contaminano. Certo. No, non sono le sporche che si contaminano. Le pulite. Certo. Leo, lo so che l’orologio è subacqueo, ma non farci la doccia. La doccia si fa nudi. Senza niente, neanche l’orologio. No, le ciabatte sì. Va bene, hai ragione, non tutti nudi. Con le ciabatte. No, l’orologio no. Insomma, se è un problema toglierlo cosa vuoi che ti dica, tienilo. Ho capito, sì, è subacqueo. Fino a duecento metri sott’acqua. Però. Sì, Leo, sono tanti metri, hai ragione. Fonso, ti sei asciugato? Sì? E allora come mai quel calzino non sale? No che non sale. Non ti sei asciugato. Forse un po’, ma poco. Non tirare che si strappa. Certo, devi asciugarti meglio. Togli il calzino e ti asciughi. No, non ti asciugare col calzino. Eh, no. Usa l’accappatoio. Alessio, non hai ancora finito? Sì devi lavarti bene, hai ragione, ma abbiamo anche dei tempi da rispettare, altrimenti ci buttano fuori dalla palestra. Aspetta, Ciccio. Anche se sei già pronto aspetta un attimo. Perché? Perché volevo dire una cosa, a tutti. Una cosa seria. Sì, abbastanza seria…
Come dici, Toti? Che lo sai già cosa voglio dire? Cioè? Che non importa se abbiamo perso? Eh? Che l’importante è partecipare? Secondo te volevo dire questo? Di’ un po’: è così? Perché se è così, mi sa che io e te non ci conosciamo tanto bene. Pensaci un attimo, ti ho mai detto una cosa del genere? Ah, sì? E quando? Tre anni fa? Ok, sì, forse tre anni fa l’ho detta, ma se l’ho detta, non ne sono sicuro ma può anche darsi che l’ho detta, se l’ho detta ho cambiato idea. Ma non credo di averla detta. Quello che volevo dirvi io non è che l’importante è partecipare. No. Per niente. Certo, partecipare è importante, ma vincere, insomma, se non partecipi non puoi vincere, quindi partecipare non è solo importante, è necessario, mentre se partecipi puoi vincere ma non è detto, puoi anche perdere, però… scusate, avete ragione, non sono molto chiaro. Sì, Walter, forse tu riusciresti a spiegarlo meglio. Non so, può darsi. Allora, diciamo così, voi mi conoscete, lo sapete che la logica del vogliamoci tutti bene, dell’importante è partecipare, del tanto il risultato non conta, quella logica lì a me non è mai piaciuta. Quelli che vi dicono che l’importante è partecipare, secondo me, ve lo dicono perché pensano che tanto, poverini, voi vi divertite lo stesso. Beh, io a quelli che vi dicono poverini, e anche a quelli che non vi dicono poverini ma pensano che siete poverini, dei poverini che tanto l’importante è che giocano, che partecipano, io a quelli io un pugno in testa glielo darei volentieri. No, Tito, tu è meglio che non glielo dai il pugno. Come, perché? Tu non vuoi che ti facciano un altro tiesseo, giusto? Come? Sì, tiesseo. T S O. Sì, è una sigla. Vuol dire… vabbè Fonso, poi te lo spiego. No, non penso che sei stupido. No. Davvero. Comunque, ragazzi, qui nessuno tira pugni a nessuno. Né io né voi. Ho detto così per dire, forse ho sbagliato. Sicuramente ho sbagliato. Quello che volevo dire è che voi non siete poverini. Siete dei giocatori di una squadra che preferisce vincere piuttosto che perdere. Come tutte le squadre. Cosa? Sì, e allora? Squadra di disabili, va bene. Se vuoi, Mimmo, d’ora in poi invece di dire squadra dirò sempre squadra di disabili. È un po’ più lungo ma si può fare. Ma lasciami dire che quando stamattina mi sono alzato con tutta quest’energia, questa voglia di venire al campo, è stato perché pensavo oggi voglio veder vincere la mia squadra. Non pensavo oggi voglio veder vincere la mia squadra di disabili. E mica perché avevo poco tempo a disposizione per pensare. No. Di tempo ne avevo. Pensavo così perché per me il fatto che siete disabili conta più o meno come il fatto che siete mancini, o biondi, o alti. E gli allenatori dei mancini, dei biondi, degli alti quando giocano voglio vincere, non vogliono solo partecipare. Come, e quindi? E quindi se perdiamo m’infurio. Per dire, Ciccio, quando hai perso quella palla in difesa, quando ho visto che ci sei arrivato molle e hai cercato di fare un colpo di tacco, io non ho pensato poverino, e non ho nemmeno pensato che visto che hai la sindrome di down puoi anche fare i colpi di tacco quando sei in difesa. No. Io ho pensato questo lo strozzo. Perché gli allenatori pensano così. Tutti. Devono pensare così dei giocatori che fanno il colpo di tacco quando sono in difesa e l’attaccante li sta pressando. E se non pensassi io questo lo strozzo mi farei un po’ schifo, devo proprio dirtelo. Beh, cos’è quella faccia? Adesso Ciccio non prendertela. Queste cose te le dico perché sono il tuo allenatore. E perché so che puoi fare molto meglio di così. Anche tu, comunque, Leo, tu che ridi e pensi di essere stato più bravo di Ciccio solo perché non hai fatto colpi di tacco in difesa, anche tu hai le tue brave colpe, perché se sull’uno a zero quella palla sulla fascia la passavi subito a Walter che era solo, invece di cercare il tunnel, magari la partita finiva in un altro modo. E anche tu, Matteo, tu non hai fatto colpi di tacco in difesa solo perché in difesa non ci sei proprio stato, anche se ti avevo detto di rimanere attaccato all’otto, che lo sappiamo che è veloce e fa sempre quella finta lì. Invece tu no, appena conquistavamo palla partivi in avanti e urlavi passa passa. E appena te la passavano la perdevi. E quando la perdevi loro la passavano all’otto. E l’otto faceva la finta e poi tirava in porta. L’abbiamo preso così il secondo goal. Non farmici pensare.
Però, ragazzi, io non volevo dirvi solo questo. No, io volevo dirvi che comunque sono fiero di voi. Perché? Per più di un motivo. Per esempio, Biagio: più o meno a metà del primo tempo, quando è uscita quella palla che non si capiva se l’avevi toccata per ultimo tu oppure il quattro dei loro. All’inizio hai alzato la mano per reclamare la rimessa, perché è normale, l’istinto furbetto ce l’hai, ma quando l’arbitro ti ha chiesto se l’avevi toccata gliel’hai detto che la rimessa era degli altri. Certo, ci hai pensato su quei trenta quaranta secondi, ma alla fine gliel’hai detto. E questa cosa mi è piaciuta. Sì, mi è piaciuta. No, non che ci hai pensato su. Che l’hai ammesso. No, ragazzi, non ridete, queste sono cose importanti. E belle. Certo. Belle. Comunque, più belle di quella specie di rovesciata orrenda che hai cercato all’inizio del secondo tempo. Roba da radiarti a vita dalla squadra. Sì, adesso invece potete ridere, coraggio. E poi tu, Tito, quando il due dei loro ti ha fatto quel fallo al limite dell’area, quel fallo brutto, con la gamba tesa, ti ricordi cosa hai fatto? No, non gli hai messo le dita negli occhi, no. Stavolta no. No, neppure quello. Nessuna ciocca di capelli, no. Non ti ricordi? Per forza non ti ricordi. Non gli hai fatto niente. Niente. Un tempo gli avresti tirato una gomitata. Come minimo. Stavolta niente. Sono soddisfazioni, credimi, credetemi. Ma non vantatevi troppo. Non è solo merito vostro. Anzi, è quasi solo merito mio. No, beh, adesso forse sto esagerando. Diciamo cinquanta e cinquanta.
Ma mettetevi in testa una cosa: non pensate, con tutti questi complimenti, che vi basta essere corretti per farmi stare buono. Per niente. Per farmi stare buono dovete essere corretti, sì, ma anche vincere. Soprattutto vincere. E possibilmente senza fare finte, doppie finte, cucchiai, cucchiaini, tunnel, doppi tunnel, colpi di tacco supersmarcanti, doppi passi con autosgambetto, rovesciate volanti poco volanti, punizioni spettacolari a beneficio del pubblico che non c’è, tentativi di gol su calcio d’angolo, fucilate da centrocampo che restano in canna, dribbling ubriacanti da cui uscite sbronzi e senza palla. No, lasciate perdere queste stronzate. Giocate semplici. Così vinciamo. Chiaro? Bene. Adesso sparite, che è tardi.

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