La bambina obesa poggia il piede sulla tazza di plastica gialla, la tazza rotante della giostra; scarta i cavalli con la criniera spelacchiata, l’elefante elicottero, lo scuolabus in miniatura e l’apecar del gelataio. Poggia il piede sicura sul bordo della tazza, che si flette scricchiolando sotto il suo peso. La bambina ha circa otto anni, un’ombra scura di basette, l’incarnato olivastro e una treccia lunga e nera. Al polso porta un braccialettino di plastica con attaccati otto cuori, ognuno di un colore diverso, che valgono come gettoni per i giri sulla giostra. A inizio giro il giostraio salirà su, passando in rassegna i bambini per riscuotere il cuore di plastica. La bambina indossa abiti che richiamano una moda adatta a ragazzine adolescenti e che finiscono per rendere ancora più evidenti le sue forme eccessive.

La madre siede al bordo della giostra e sfoglia una rivista. Ha circa trent’anni, ma il trucco, sovraccarico, le incolla sul viso quindici anni di più, mentre gli abiti sportivi, gli stessi che indossano le ragazze della tv fotografate nel giornalino che sta sfogliando, vorrebbero riportarla indietro nel tempo a molti, molti giri di giostra fa. La madre tiene lo sguardo basso sulla rivista, ogni tanto gira un poco la testa verso il bancone del giostraio e i due si guardano per qualche istante; poi lei riprende a leggere. Alza un braccio per salutare la figlia, quasi senza sollevare il viso per guardarla. La giostra è partita.

Primo giro. La bambina afferra il volante al centro della tazza e ne aumenta la velocità a ogni rotazione di giostra, sempre più veloce, gonfiando gli avambracci grassi sotto la maglia a righe, nello sforzo di aumentare la forza centrifuga della tazza rotante. Poi si alza, ancheggia, sbanda, inizia un balletto sulla musica che esce dagli altoparlanti. La bambina fa un gesto con le mani rivolto alla madre: è la coreografia del Ballo del Qua-Qua. Mentre la giostra gira, la bambina alterna la rotazione del volante con la sua danza rivolta alla madre. Che non la guarda, che ogni tanto annuisce, che sbircia spesso il telefono e controlla con la coda dell’occhio il giostraio seduto dietro al bancone, per poi immergersi di nuovo nel giornaletto, come in attesa di qualcosa.

Secondo giro. Non è il Ballo del Qua-Qua la canzone che fa da colonna sonora ai gesti della bambina; la musica che accompagna ogni giro di giostra è la riedizione di un vecchio brano di Raffaella Carrà. Come un mantra circolare, il remix da discoteca rimbalza nella giostra mescolandosi alla voce di Raffaella Carrà che canta: Ah-ah-ah-ah, a far l’amore comincia tu. Il tempo sghembo martella col basso ossessivo, con la cassa della batteria elettronica in primo piano, e poi la voce a nastro, campionata. La bambina balla, in piedi nella tazza gialla, estranea a tutto ciò che la circonda, anche alla canzone, tranne che alla forza centrifuga alimentata dai suoi avambracci gonfi. Si dimena, agita la testa in un’ellisse immaginaria, la sua treccia nera sbatte sul sedere fasciato nei pantaloni viola elasticizzati.
Terzo giro. La madre ha quasi finito di leggere il giornaletto, controlla l’ora come se il bordo giostra fosse una fermata del bus e il numero di giri un grande orologio segnatempo. Ogni giro dura quattro minuti esatti. La giostra inizia a rallentare verso lo scadere del quarto minuto, e a tutti quel rallentare comunica, inevitabilmente e in modo identico, un senso di tristezza, di fine, di vuoto incolmabile. O meglio, colmabile solo da un nuovo giro. Ma il vuoto colmato dal giro in più ha anche sempre qualcosa che lo mette in contatto con un vuoto di natura più universale, e questo vuoto è incolmabile: la giostra che rallenta vale il rallentare della vita stessa. Per questo non esiste bambino che non sia triste quando le giostre rallentano, perché l’essenza del bambino e l’essenza del rallentare della giostra sono completamente opposte. Queste cose la bambina obesa non le sa ancora, mentre è impegnata a farsi notare dalla madre che non la guarda: è presa dal telefono, dal giornaletto e dal giostraio, che intanto è uscito da dietro il bancone, dopo aver suonato il campanello d’avvio della giostra, sparendo in un ripostiglio due gradini dietro la cassa.

Quarto giro. La madre segue il giostraio nel ripostiglio. Lancia un’occhiata verso la giostra prima di scivolare giù, aspetta che la tazza gialla scompaia alla vista. Raggiunge il giostraio nella penombra dello sgabuzzino: qui i due scopano vestiti, in piedi, per i quattro minuti del quarto giro. Il giostraio ha le unghie sporche di giostra e sulla testa un piccolo riporto corvino che, nella concitazione, si sposta ondeggiando come la criniera spelacchiata dei cavalli della giostra. A un certo punto, intorno al secondo minuto, sincronizzano un poco, ma involontariamente, i loro movimenti col remix della Carrà. Poi ha la meglio una fretta cieca. Per il poco tempo restante.

Quinto giro. La madre riemerge dallo sgabuzzino; qualche istante dopo la segue anche il giostraio, che deve tornare al bancone per suonare il campanello e azionare l’avvio del nuovo giro. L’uomo sale sulla giostra per raccogliere i gettoni a forma di cuore dai bambini. Si avvicina alla bambina impegnata ad aumentare la forza centrifuga della tazza a forza di bracciate, le fa una lenta carezza col dorso della mano lungo la peluria scura della basetta. Poi prosegue il giro di raccolta. Si destreggia facilmente in mezzo ai corridoi stretti, con l’equilibrio reso sicuro dalla ripetizione infinita del gesto, quel giro di raccolta gettoni sulla giostra in movimento che per lui, ormai, è ferma anche quando gira.

Sesto giro. Da dietro lo scuolabus in miniatura spunta la schiena di un uomo molto alto. La giostra è ancora ferma. È un ragazzo nordafricano con la pelle di colore caramella mou. Indossa una polo dello stesso colore della pelle. Rimprovera in italiano una bambina magra dal viso pallido. La bambina è sua figlia e si chiama Jasmine. Le dice di restituire subito i gettoni che ha in mano, li sospetta caduti dal braccialetto della bambina che siede accanto alla figlia. La bambina rimane muta, con lo sguardo rivolto verso il basso, stringe con forza i gettoni nella mano. Accanto a lei una bambina bionda, poco più piccola, osserva l’interrogatorio. La giostra si avvia, il nordafricano scende e si siede, agitato, in un angolo. A fine corsa un altro padre si avvicina allo scuolabus e presta testimonianza. Ha visto la scena, i gettoni caduti appartengono effettivamente alla bambina che li stringe nella mano: è innocente, i gettoni sono i suoi. Il padre caramella mou sospira. Poi estrae la figlia dallo scuolabus, le sorride e la issa su uno dei due cavalli dalle code spelacchiate.

Settimo giro. La madre della bambina obesa ha cambiato giornaletto. Ora non rivolge più lo sguardo al giostraio che, intanto, si è messo a rifornire un distributore automatico di bibite e merendine. Dietro al bancone, una serie di palloncini colorati e qualche supereroe gonfiabile. I supereroi sono in vendita, i palloncini colorati, invece, sono gratis; sono dati in omaggio ai bambini quando stanno per uscire dalla porta della giostra. Il giostraio chiede se vogliono una caramella o il palloncino, e tutti chiedono il palloncino. Un po’ perché è più bello e dura di più. Un po’ perché i bambini assecondano la diffidenza ansiosa dei genitori verso le caramelle che stanno nella ciotola. In fin dei conti, nessuno ha mai coniato il comandamento “Non accettare palloncini colorati dagli sconosciuti”.

Ottavo giro. Un bambino molto piccolo, un anno, un anno e mezzo, sta seduto sull’elefante volante. Il padre gli sorregge la schiena. Ha lo sguardo vuoto, fisso oltre i vetri che circondano la giostra, è visibilmente a disagio nel girare sulla giostra. Si guarda intorno e poi, ogni tanto, avvicina la testa alla propria ascella, prima la sinistra, poi la destra, per sondare il grado di sudorazione; come se ogni ascella potesse produrre un grado di odore differente. Sposta il bicipite e annusa. Poi torna a guardare fuori dai vetri della giostra. Non sposta mai il bambino dall’elefante. Il bambino è troppo piccolo per protestare, per manifestare una volontà propria di cambiare attrazione.

La bambina obesa ha finito gli otto cuori di plastica del braccialettino. Scende dalla tazza gialla, che si flette scricchiolando un poco. La madre la prende per mano e si avviano al bancone. Il giostraio le dice di scegliersi un palloncino colorato o di prendere una caramella. Le parla in modo artificiosamente gentile, come fanno gli adulti che non sanno trattare con i bambini. La bambina indica il cestino delle caramelle. La madre fa un cenno poco convinto con la testa e poi guarda da un’altra parte; la bambina affonda la mano nel cestino ed estrae una manciata di caramelle alla frutta. Il giostraio sorride. La madre e la bambina escono dalla giostra, entrambe ancheggiando. Il remix riparte da capo.

← Basta un niente
Non ho sonno →