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RACCONTI
Il guerriero - prologo
Autore:  LUKE SAINTS / Pubblicata il:  23.07.2008

Si dice che la Preistoria lasciò il passo alla Storia nel momento in cui venne inventata la scrittura. Per scrivere la mie memorie non basterebbero le lingue del mondo, tanto sono vaste. Una lunga, lunghissima vita alla ricerca di un significato, una prova estenuante, voluta da qualche potenza celeste, che ha prosciugato infine la mia anima e mi donerà presto il tanto agognato riposo. Il corpo è invecchiato, seppure conservi ancora molto vigore. La mente è forte e lucida, come quando ero un ragazzo. Il mio spirito sta però abbandonando lentamente questo involucro ma, sebbene mi sia stato concesso il premio per la mia colossale impresa e null’altro mi si chiede di compiere, ho ancora un’ultima cosa da fare prima di riunirmi alla mia famiglia e a tutti coloro che hanno fatto parte del mio viaggio attraverso il tempo. Devo tramandare la mia storia. Guardo fuori dalla finestra e sento la brezza marina del mattino accarezzarmi il viso. L’odore del mare mi è sempre piaciuto e non potevo scegliere luogo migliore per finire i miei giorni, un’ampia casa a picco sul mare poco fuori Siracusa, in Sicilia. So che oltre queste mura, oltre le distanze, al di la dell’orizzonte del mare, c’è la mia terra natia e, sebbene ora sia un arido campo di battaglia, un tempo è stata il centro del mondo conosciuto, la culla della sua civiltà.
Passi rapidi e leggeri si avvicinano alla porta della mia stanza. E’ sicuramente Cristina, mia nipote, venuta a raccogliere la mia eredità. Inizialmente non volle credere a ciò che affermavo. Quando però le mostrai i manufatti introvabili che custodivo come un tesoro, i dipinti e le foto che mi ritraevano nel lontano passato e soprattutto che conoscevo molte lingue dimenticate del mondo antico, dopo il primo momento di malessere si fece forza ed iniziò ad abbattere un po’ il suo muro di incredulità. Ci sono cose che la Scienza non può ancora spiegare. I dotti tuttavia tendono ad affermare che un giorno nulla più sarà un mistero e la divinità verrà totalmente soppiantata dalla ragione. Quanto si sbagliano. Ci sono forze soprannaturali all’opera al di sopra delle nostre teste che neppure immaginiamo.
Sono orgoglioso di Cristina. Già laureata all’età di ventidue anni, da tre lavora come ricercatrice al dipartimento di Storia dell’Università di Messina. La persona ideale per il mio scopo e l’unica di cui mi fidi realmente per un uso saggio di tante informazioni. Una ragazza introversa, innamorata più delle cose del passato che dei suoi simili. Forse troppo. Non sa quanto la vita possa volare via in un baleno. I rimpianti sono la peggior dote da portare alla vecchiaia e io lo so bene perché ne ho molti. Spero che la sua mente sia abbastanza aperta da accettare tutto quello che le rivelerò. Nelle rare volte che ho tentato di raccontare qualcosa, in passato, i miei interlocutori mi prendevano per pazzo e mi scacciavano. Divertente, se ci ripenso adesso.
-Sei ancora a letto, nonno?- mi chiede aprendo lentamente la porta.
-No cara, entra pure-, le rispondo dalla comodità della mia poltrona preferita, piazzata proprio davanti alla finestra per poter guardare il mare.
-Ho portato il registratore come mi hai chiesto.-
-Bene. Voglio che tu ascolti senza distrarti per scrivere. Che ne diresti però di fare prima…-
-Ho anche la colazione, nonno.-
Cara ragazza. Oggi è più radiosa che mai. I miei tratti mediorientale si sono trasferiti più a lei che a suo padre. Cristina ha infatti i capelli neri come l’ebano, come pure i grandi occhi. La carnagione scura è fatta risaltare dal chiaro vestito estivo che le lascia le spalle scoperte. Più la guardo, più i ricordi mi assalgono. In lei rivedo molto di mia madre e delle mie sorelle, nonostante i lineamenti del suo volto siano molto più delicati di quelli delle donne della mia terra.
Poggiato il piccolo registratore digitale e il vassoio con la colazione, in pochi minuti la ragazza imbandisce la mia scrivania come il buffet di un grande albergo. Non occorre incitarmi per farmi alzare dalla mia seduta perché il profumo intenso del caffè caldo mi attira al pasto mattutino come le api al miele. Mentre facciamo colazione parliamo del più e del meno, senza mai sfiorare l’argomento del nostro prossimo colloquio. Cristina non ama dire più del necessario a riguardo ma noto divertito che, con la coda dell’occhio, punta spesso le tre grandi casse di legno che tengo nell’ombra, in un angolo della stanza. Le casse del tesoro, piene dei cimeli che ho raccolto in quasi cinquemila anni.
Finita la colazione a base di latte, caffè nero, pane e marmellata fatta in casa, mia nipote sparecchia e la scrivania torna all’originale compito di scrittoio, nonché ripiano per ogni sorta di cianfrusaglia. Sta per riportare le sedie al loro posto, una per ogni lato del tavolo, ma io la fermo.
-Mettiamoci accanto alla finestra. Riesco a concentrarmi meglio quando il sole e l’aria del mattino mi accarezzano la pelle.-
-Come vuoi, nonno-, acconsente lei apprestandosi a realizzare quella nuova disposizione. Faceva tutto con impegno e serietà, nel lavoro come nella vita privata. Forse era per quello che legava con difficoltà con gli uomini, nonostante fosse una ragazza molto attraente. Si siede su una delle sedie con il registratore in mano e mi guarda in attesa.
Accenno ad un sorriso e, trascinandomi dietro una delle tre casse, quella che conteneva i cimeli più antichi, vado a sedermi di fronte a lei ed inizio il mio lungo racconto.


 
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