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RACCONTI
Poesia al Moulin Rouge
Autore:  UGO CATTABIANI / Pubblicata il:  12.09.2007

Per entrare suoniamo il citofono. Siamo educati, noi, specie se si va a un reading. Abbiamo spento il cellulare, mica si fa la figura degli incolti, noi, in mezzo ai letterati. Ho mangiato salsiccia e fagioli ma non dovrebbe succedere niente: lo stomaco è di quelli collaudati. Siamo leggermente in ritardo, tutto calcolato. Se ti presenti a una lettura di poesie in orario, o sciaguratamente in anticipo, rischi di passare per un genitore. Noi siamo dei vostri – sia chiaro – tutte le settimane ci intrufoliamo a un vernissage. Sappiamo come comportarci.
Il citofono non risponde: però il cancello si apre. Nel cortiletto c’è una piccola folla che accerchia un obeso dall’aria preoccupata. Forse c’è troppa gente, penserà l’obeso, rischia di diventare uno spettacolo popolare. Gli passo davanti e lo sento bofonchiare:
- Qua non si può entrare e uscire così.
- Io entro e ci rimango -, ribatto col fare dell’uomo di mondo.
La mia facezia sembra non raggiungerlo. Gli artisti colti e sensibili sono così: apparentemente stronzi. Lo so bene, non me ne adonto.
Prendiamo posto in una stanzetta asfittica che ricorda un teatro in miniatura. L’aria è satura di bisbigli. Una gentildonna ci offre un paio di sedie che accettiamo ringraziando: è un pensiero delizioso. Tra le luci soffuse vediamo emergere l’obeso issato su una specie di pulpito dal quale scruta minaccioso la platea. Ci saranno non più di cinquanta persone stipate come aringhe. Decisamente troppo, per il panzone padrone di casa.
- Buonasera -. Piccolo preambolo dell’uomo-lardo: - Sono piacevolmente stupito di questa affluenza così massiccia. Qui siamo abituati a non più di una trentina di persone.
Pausa carica di tensione. Abbraccia con gli occhi grifagni il folto pubblico. Riprende:
- Scommetto che la maggior parte di voi non è mai stata a teatro.
Eh no, questo non lo accetto. Gente come noi? A parte il fatto che chiamare teatro uno sgabuzzino mi sembra eccessivo. Questi artisti! Pensano in grande e mangiano in proporzione. Prosegue:
- Prima di presentarvi la poetessa…
In quel mentre, un motivetto prende a suonare allegro dalla giacca di qualcuno. Il mega-cicerone fulmina con lo sguardo la zona del presunto colpevole. Ma il lestofante è riuscito a far tacere la suoneria e si fa alibi della penombra.
- Invito chi non lo avesse già fatto a spegnere il telefono. Grazie.
La saletta è tutta un fruscio di mani che frugano nelle tasche. Pochi secondi e si ricompone un silenzio perfetto.
- Bene. Vi presento la poetessa, giovane avvocato col quale ho il piacere di lavorare…
Un poeta-avvocato? Be’, non c’è niente di male. Anzi. Si vede che fa poesia colta. Certo che deve essere una bella fortuna lavorare con l’obeso-direttore artistico: tra una pratica e l’altra ti scappa una terzina improvvisata e… il gioco è fatto!
Sulle note di una musica registrata si apre il siparietto.
Avanza dall’oscurità un forma femminile. Attimi di incredulità… E’ mezza nuda!
Siamo gente di mondo, noi, ma non riusciamo a fare a meno di sgomitarci per la sorpresa: la poetessa-avvocato è una bambola con lunghi capelli biondi che le scendono sulla vestaglietta slacciata. Porta un corsetto con giarrettiere e calze di seta, tacchi a spillo e mutandine nere. Si avvicina ondeggiante alla ribalta.
Si arresta fissando un punto molto in alto sopra le nostre teste. Dalle distanze siderali della sua ispirazione prende a declamare:
- Sentimi… toccami… leccami… SCOPAMI!
Sconcerto della pur cosmopolitissima platea. Certo nessuno dei presenti ha mai assistito a un reading nella cattedrale della poesia: il Moulin Rouge. Tranquillizzato dalla mia personale dimestichezza, mi dedico interamente alle sottigliezze evocative delle liriche.
- Ho voglia di averti… di spogliarti… di graffiarti…
Affiorano assonanze dannunziane, forse meno preziose, certo non inferiori. Ricorda vagamente il Montale dell’ultimo periodo. O forse era Pascoli? Ammetto di fare un po’ di confusione con le reminiscenze scolastiche. Non era mica Leopardi che si era fatto togliere una costola per amarsi da solo? Chi poteva essere più solo di Leopardi per desiderare sé stesso così intensamente?
- Ho bisogno del tuo corpo… delle tue braccia… della tua lingua…
Decisamente Leopardi. A voler esser sinceri, i versi della bambola bionda mi sembrano un po’ ripetitivi. Purtroppo perdo spesso il filo a fissarle le cosce. E quelle mutandine nere…
- Ringraziamo la poetessa per la provocante interpretazione delle sue liriche. Ora ci sarà un breve dibattito coi critici del nostro giornale che non sto a presentare perché tutti voi li conoscete…
L’avvocato in giarrettiere è ancora in scena, questo è l’importante. Non si è nemmeno rivestita. Dalla parte opposta della stanzuccia-teatro l’occhio di bue illumina i due esperti. Sono davvero curioso di sapere se ho azzeccato gli autori di riferimento. Uno dei celebri giornalisti, un vecchietto col nasone aquilino, sta sorseggiando una tazza di tè: deve avere in serbo qualcosa di particolarmente insinuante. Il pubblico lo lascia cortesemente finire la sua bevanda, lui cortesemente ringrazia e si rivolge all’autrice in déshabillé:
- Volevo domandare alla poetessa…secondo lei: la poesia è un sogno… o i sogni aiutano a scrivere meglio?
Imbarazzo diffuso. Noi ci guardiamo inquieti: la citazione è evidente. Mi verrebbe da dire: i sonetti di Shakespeare. Chi lo sa. La bionda tutta pepe sa il fatto suo e risponde prontamente:
- Voglio spremerti… voglio consumarti…voglio…SCOPARTI!

La gentildonna dell’ingresso – la stessa che graziosamente ci aveva offerto da sederci – non riesce a capacitarsi della nostra fuga precipitosa.
- Non è esattamente il nostro genere -, è la risposta più diplomatica che ci viene.
Non appena all’aria aperta, sotto un cielo che continua a concedere ispirazione a tutti tranne che a me, trovo finalmente la chiave per contestualizzare la poesia del giovane avvocato da Moulin Rouge.
- Certe cagate si sentono solo in televisione.
Tutti d’accordo, andiamo a berci una birra.


 
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