Giovedì. Un giovedì come tanti altri.
Hai appena tolto le gambe da sotto la scrivania del tuo ufficio, che già le hai infilate al riparo di un tavolino del bar dietro l’angolo, giusto il tempo di fare due chiacchiere e bere una cosa con gli amici, in attesa che arrivi l’ora di cena.
Quegli amici sono due tuoi colleghi, Silvano e Luca, sempre loro da chissà quanti anni in questo rituale del giovedì post-ufficio; e nelle vostre mani giacciono i soliti calici di vino rosso fermo, rubino, mentre sulle vostre labbra rubizze si affacciano travolgenti discorsi che spaziano dalle previsioni meteo per il week-end alle tecniche di verniciatura della cancellata del cortile.
Insomma, un giovedì come tanti altri. Un giovedì.
E invece no. Mentre stai per tessere le lodi della setola del pennello appena comprato alla fiera del bricolage, d’un tratto, non sai bene come e perché, ti accorgi che un paio di occhi verdi contornati da lunghe ciglia nere si sono posati su di te.
Sono gli occhi di una giovane, una giovane che continua a fissarti con un paio di zaffiri di un luminoso verde intenso. E stanno guardando proprio te, ne sei sicuro.
Sicuramente non Silvano e Luca, che tra l’altro non si sono accorti di niente.
Ma te.
E tu quello sguardo lo ricambi, mentre inserisci il pilota automatico alle tue parole per spiegare che, grazie a quel tuo nuovo pennello, la cancellata non arrugginirà con le prime piogge autunnali.
Ti rendi improvvisamente conto che sono passati eoni dall’ultima volta che una donna ti ha adocchiato con un certo interesse, a parte lo sguardo d’abitudine di tua moglie, la tua Claudia, che un tempo, quando era solo la tua ragazza, ti faceva sentire come un suonatore di mandolino ogni volta che le mani ti scendevano lungo i suoi fianchi vertiginosi, mentre ora che quel sedere è diventato quello di tua moglie, ti senti come un batterista di gran cassa nella banda di quartiere.
E sicuramente non solo Claudia è rimasta vittima degli anni che passano, il tempo e la forza di gravità hanno avuto la meglio sulla tua pancia, che probabilmente sarebbe già in caduta libera se non ci fosse la cintura ad arrestarne la corsa, per non parlare del processo di desertificazione che ha trasformato la tua lussureggiante criniera da re leone in una assolata piazza d’armi che ben figurerebbe in un centro storico cittadino.
Quegli occhi hanno anche l’inconsapevole merito di accendere la miccia del ricordo di un fu ragazzo ventenne, dai capelli lunghi, alto e dal fisico asciutto, che nella piena potenza della sua giovinezza era conosciuto dagli amici per essere un instancabile stantuffo: una settimana con una bionda, la settimana dopo con una mora, un vero cecchino in fatto di ragazze.
E forse quel cecchino potrebbe colpire ancora, il fascino della maturità a sostituire l’irruenza della gioventù, mentre nelle orecchie avverti già le prime vibrazioni delle corde di un mandolino dagli occhi verdi. Ti alzi. Come un uccello rapace spicchi il volo dalla tua sedia.
Con una scusa estratta dai tuoi innumerevoli manuali di scuse, uno per ogni anno di matrimonio passato a dire balle a tua moglie per evitare discussioni o noiosi doveri domestici, riesci ad allontanarti dai tuoi colleghi con il calice ancora in mano e il ricordo dello stantuffo padano vivido nella memoria.
Plani verso la preda, i tuoi occhi nei suoi occhi, i suoi nei tuoi, in un calamitare di iridi.
Con lei c’è un’amica, entrambe in piedi vicino al bancone, ma il magnete dei suoi occhi ti fa da bussola. Ti avvicini. Sempre più.
La urti leggermente, ma quello che conta, è che la urti volontariamente. Ti scusi, quindi ti presenti e, col tuo sorriso migliore, le chiedi come va.
– Tutto bene? –
Non risponde, ma ti guarda, le sopracciglia brune inarcate in una tipica espressione di sorpresa, guarda la sua amica, ti guarda ancora.
Poi scoppia a ridere. Assieme a lei, l’amica. Ridono, di un riso irrefrenabile, sguaiato, da far lacrimare gli occhi, e tu sei lì, incapace di reagire e di capire.
– Oddio, scusami – ti dice, cercando di spingere via di peso il riso dalle labbra sottili e rosse – ….non volevo, ma era così buffo…voglio dire…il riflesso della Budweiser –
Ancora non capisci.
– Budweiser? – le domandi.
Poi getti un occhio alle tue spalle, un’insegna luminosa gialla e rossa della Budweiser campeggia sul soffitto, proprio sopra il tavolo in cui i tuoi colleghi probabilmente stanno ancora filosofeggiando di verniciatura da cortile.
Ma poi ci arrivi, oh se ci arrivi.
Un guaito di rabbia, sibilato a denti stretti, ti sfugge di bocca, mentre lo stantuffo padano si inceppa e il fu cecchino ventenne si accorge di aver smarrito per sempre le munizioni.
Di scatto passi una mano su quella superficie riflettente che è diventata la tua testa, e che a quelle due giovani belle stronze è sembrata una cazzo di lattina di birra americana.
Una Budweiser!

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