Cara Francesca,
non riesco a trovare aggettivi per comunicarti l’immenso piacere che ho provato nel ricevere la tua lettera. Eppure qualcuno ce ne deve pur essere. In effetti, uno l’ho trovato, che è immenso, ma avrei potuto anche dire gigantesco, forse meno elegante; oppure sconvolgente, che sarebbe suonato falso perché non sono affatto sconvolto.
È giunta davvero inaspettata – la tua missiva intendo – non tanto perché io diffidi del servizio postale, ma temevo che in seguito a quel piccolo inconveniente incorso tra noi, non volessi più sentirmi. Invece mi sbagliavo, per fortuna.
Sono felice di non essere defluito nel lavandino del dimenticatoio: a quanto scrivi, ti manco e mi pensi molto, sogni i bei momenti passati insieme. Ricordi le nostre cenette a lume di candela?
Ma cerchiamo di non essere troppo nostalgici, la vita ha un guardaroba ricco di molti altri anni nuovi da farci indossare, almeno a me. Forse a te un po’ meno, giacché ti ricordo come una creatura deliziosa, ma di salute cagionevole. Tuttavia non bisogna disperare.
Non sai come sono eccitato all’idea di rivederti, di che colore hai i capelli adesso?
Porti ancora il quarantadue di scarpe?
E le scarpe?
Ti ho già detto che sono eccitato all’idea di rivederti?
Avremo sicuramente un sacco di cose da raccontarci e cercherò di non sbadigliare mentre parlerai delle tue. Ricordo che, quando eravamo fidanzati, ti arrabbiavi se mi addormentavo durante i tuoi discorsi, ma non succederà più. Lo prometto, e sai che ogni mia promessa è un debito che tu hai verso di me. Vorrà dire che offrirai la cena.
Ringraziandoti ancora per avermi scritto, ti saluto affettuosamente,
Carlo

*

Per nulla caro Carlo,
se ti scrivo è solo per evitare il sorgere di un equivoco terribile: io non ti ho spedito alcuna lettera, né ho mai avuto desiderio di farlo, almeno sino ad ora. Troppo forte sarebbe stata la tentazione di allegare a foglio e busta gli innumerevoli insulti che ti sono dovuti. Purtroppo, adesso, le circostanze mi costringono a scriverti.
L’averti trovato tra le ondose braccia del mare dei sensi, come tu definisti gli arti superiori della mia amica Stefania e il suo letto, non lo chiamerei un piccolo inconveniente. Ma devo trattenermi, altrimenti avrei io qualche definizione che ti calzerebbe a pennello…
Delle nostre cenette a lume di candela ho un ricordo limpidissimo, soprattutto del conto, che sempre io dovevo pagare. Ti ripeto, perché sia chiaro, che non ho alcuna intenzione di rivederti, né a lume di candela, né a lume di lampadina, né a lume di qualsiasi altra fonte luminosa!
A non rivederci,
Francesca

*
Carissima Francesca,
perché discorrere ancora del passato? Perché piangere sul latte versato? È la Provvidenza che ha voluto ricongiungere i nostri destini, e che vorrà certamente ricongiungere i nostri corpi, spero. Il passato è soltanto una foto scattata da un’angolazione casuale, riduttiva; una foto sfuocata, che si può conservare gelosamente oppure stracciare, ma è inutile, anzi dannoso, contemplare in continuazione.
Accetto le critiche sulle nostre cene, però potevi dirlo che ti dava fastidio la luce! D’altra parte, il dopocena è sempre stato memorabile, perché di me tutto si può dire tranne niente, che è troppo. Nessuna donna potrà mai lamentarsi di me, a letto duro anche quindici ore, dormendo.
È tempo di fissare una data per il nostro incontro, pensavo che sarebbe stupendo vedersi il 23 gennaio: era il nostro anniversario. Non sto più nella pelle, sento il nostro amore gonfiarsi a ogni parola che scorre, credimi Francesca, perché ti sto scrivendo con il cuore in una mano e la biro nell’altra.
Immagino che tu sia curiosa di sapere se sono fisicamente cambiato… Praticamente sono sempre uguale, ho solo messo su qualche chilo: trentotto per l’esattezza.
E tu?
Hai ancora il naso uguale?
Il terzo molare otturato?
Mangi ancora i pasticcini?
Rispondi presto, ti prego, altrimenti potrei prendere un coltello, una forchetta, e fare una pazzia: divorare una bistecca.
Un bacio,
tuo Carlo

*

Carlo,
sembra quasi che tu finga di non capire, eppure nella mia precedente lettera credevo di essere stata di esemplare efficacia espositiva. A nulla varrebbe ribadire concetti già espressi, quali non ti voglio più vedere o non ti voglio più sentire… che, tuttavia, mantengono la loro indiscutibile veridicità.
Ho deciso di incontrarti.
Ho pensato che, dopotutto, non sia da persone intelligenti conservare il rancore come una reliquia: il rancore non è nient’altro che un fastidioso strato di polvere che ammanta i nostri pensieri di pesantezza e irrazionalità.
Ciò non significa che io intenda ricominciare a frequentarti. È un gesto di perdono quello che compio nei tuoi confronti, consapevole che, troppo spesso, il perdono è il vestibolo di nuovi torti. Direi, ad ogni modo, che il 23 gennaio potrebbe andare bene come data. Scegli tu il luogo e l’ora.
Arrivederci,
Francesca

*

Francesca adorata,
con quale gioia ho ricevuto la tua ultima missiva? Non lo ricordo, ma doveva trattarsi di una gioia enorme, perché ho saltato, saltato… e poi ho sentito qualcosa di duro sulla fronte, duro come lo stipite della porta, tant’è che si trattava proprio dello stipite della porta.
Ho completamente perso la testa per te (e non credo a causa dello stipite); perdona l’ardire, ma il cuore non è una prigione sicura in cui rinchiudere i propri sentimenti, cosicché essi poco s’attardano a fuggire verso la libertà che meritano. Mentre lacrimo parole salate su questo foglio ingiusto, penso al tuo sorriso apparecchiato tra le labbra e ai tuoi occhi, che splendono come i fanali d’un trattore solitario tra le stelle, nel campo della notte. O maravigliosa dulcinea, voglio sorvegliare financo i pertugi del tempo, che nessuno di essi trascorra senza un pensiero a te riservato.
Purtroppo duco una triste notizia: dovremo rimandare il nostro atteso convegno di qualche giorno. Sono imperdonabile, lo so, ma chi abbisogna del perdono più di chi non lo può ricevere?
A proposito, che cosa fai adesso nella vita?
Quali sono i tuoi attuali interessi?
Ti ho già chiesto se mangi ancora i pasticcini?
Se no: mangi ancora i pasticcini?
Scrivimi subitaneamente,
Carlo

*

Caro Carlo,
sono stupita, lusingata. Non ti ricordavo artefice di parole affettuose. Divento sempre più curiosa anch’io di incontrarti, ansiosa di verificare questo tuo positivo cambiamento. In fondo sono trascorsi oltre sei anni, un periodo che consente incredibili mutazioni. Dunque non può che rincrescermi un rinvio ormai non desiderato. È incredibile, perché fino a poco tempo fa il solo pensiero di vederti, anche il più remoto, mi caricava d’odio e d’ira. Nella tua lettera non fai cenno ai motivi che impediscono l’appuntamento del 23 gennaio, quali sono?
Spero non sia a causa della contusione che hai rimediato contro lo stipite della porta! Mi chiedi cosa faccio attualmente nella vita: principalmente insegno greco al liceo classico, ormai da tre anni.
Negli ultimi tempi sono accadute cose piuttosto spiacevoli alla mia famiglia, soprattutto dal punto di vista finanziario: l’azienda di mio padre, un tempo florida e redditizia, è fallita. C’è stato quindi un brusco cambiamento del mio tenore di vita che, inizialmente, è stato duro da sopportare. Mi è rimasta l’atavica passione per la lettura, mentre ho dovuto soffocare l’amore per i viaggi, ovviamente per motivi economici.
Perché sei tanto insistente nel chiedermi se mangio ancora i pasticcini? È forse un’attività degna d’essere monitorata con tanta cura?
Non mi descrivo fisicamente, ti toglierei la sorpresa. Ti andrebbe se ci vedessimo il 24 gennaio?
A presto,
Francesca

*
Cara Francesca,
come va? Dove va? Chi va là? Pensaci e rispondi con calma. Sono lieto che tu abbia accolto di buon grado l’idea di rivedermi. D’altra parte, assai mi duole costatare che tu, a differenza di me, non sei affatto cambiata rispetto al passato. Eri curiosa e sospettosa, esattamente come lo sei adesso quando vuoi sapere perché non ci possiamo vedere il 23, o perché ti chiedo se mangi ancora i pasticcini. Eri pressante e possessiva, esattamente come ora pretendendo di incontrarci il 24, laddove ti ho esplicitamente informata che dovevamo rimandare di qualche giorno… Non posso avere continuamente il tuo fiato sul collo, finisce che mi viene l’artrosi! È crollato un sogno, e i sogni, quando crollano, emettono un frastuono assordante destinato a echeggiare per lungo tempo nella mente, lasciata intirizzita ai rigori della fredda realtà.
Meglio così, di te non ho mai sopportato quelle orecchie asventolate ai quattro venti e il naso, troppo aquilino per trovare nel tuo volto un nido adeguato.
Meglio così, dicevo, che la tristezza che indosso non si può dismettere e neppure capire.
Meglio così, che l’amore mette le ali ai piedi, e non è che siano comodissime.
Addio,
Carlo

 

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