L’indomani avrei festeggiato il sedicesimo anniversario di matrimonio. Vagavo per la città, turbato, speranzoso di trovare un’idea, l’idea giusta: dovevo pensare a un regalo per mia moglie, che è di gusti difficili. è quasi proibitivo riuscire a soddisfarla.
Erano da poco passate le tre di notte, l’aria odorava di broccolo, tanto da augurarsi di non possedere l’olfatto. Mentre mi chiedevo chi, a quell’ora, potesse mai cucinare tale ortaggio aromatizzando l’ambiente in modo così profondo e sgradevole, vidi sul ciglio del ponte un uomo. Alcuni fatti incontrovertibili mi indussero a credere che si stesse suicidando: per esempio si trovava oltre la balaustra del ponte, alla quale nervosamente si aggrappava con le mani. Per un attimo temetti che il ciglio sul quale sostava stesse per crollare a causa della sua considerevole massa. Non possiedo la capacità innata di stabilire ad occhio nudo il peso di persone e oggetti, ma se una bilancia avesse segnato per quell’individuo un peso inferiore ai duecento chili avrei certamente sospettato un guasto. Quell’uomo infatti era grosso come un bidone dell’immondizia, e probabilmente ne aveva la stessa recettività alimentare. Nel buio di quella sera, inquinato solo da qualche lampione, poche stelle e nessuna luna, osservavo la sua sagoma cogitabonda: immagino si stesse domandando, per l’ultima volta, se fosse proprio il caso di buttarsi. Mi avvicinai a lui lentamente, cercando nel mio ridotto dizionario mentale qualche parola, la più ottimistica possibile, per dissuaderlo da quel gesto sconsiderato. Sicuramente, pensai, sarà frustrato per l’ennesima dieta fallita o per il rifiuto di una donna.
Quando arrivai da lui trasse di tasca una brioche, la scartò e l’addentò avidamente. Vedendomi, chiese se ne volevo un boccone. Rifiutai. Pareva sereno, ma sul volto erano evidenti le tracce di un recente pianto.
«Mangiare» disse «è uno dei piaceri più grandi che siano concessi all’uomo! Spero che lei, al pari di tutte le persone che possiedono papille gustative funzionanti, ne convenga…»
«Direi che sono perfettamente d’accordo. Se non sono indiscreto, posso rispettosamente domandare le ragioni che la inducono a una sosta quanto mai sconveniente sul ciglio del ponte?»
«Non è forse abbastanza evidente il mio intento di lanciarmi?»
«Direi di sì… ma perché? Qualche dottore le ha forse negato l’eccelso piacere della tavola? Per questo vuole gettarsi dal ponte?»
L’uomo trasse di tasca un’altra brioche, identica sostituta di quella che aveva già ingurgitato.
«Un boccone?»
«No grazie.»
«Guardi che è di quelle buone, l’ho comperata dal pasticcere quest’oggi, mica di quella roba confezionata… Come non detto. Il problema è un altro» continuò «nessuno mi ha proibito di mangiare, e se anche fosse sarebbero proibizioni inutili, continuerei tranquillamente a farlo senza curarmi di loro… è una storia lunga e per lei sarebbe noiosa. Non vorrà certamente ascoltare le mie lamentazioni.»
«Sono tutt’orecchi…» dissi. Un’affermazione che, anche anatomicamente, non è del tutto falsa.
«Allora, dal momento che le interessa, le racconterò la mia infelice situazione, forse servirà anche da sfogo per i miei patimenti. Fin dalla puerizia, niente mi rendeva felice e appagato al pari di farmi una bella mangiata in compagnia, stare a tavola per ore chiacchierando tra una portata e l’altra, fare considerazioni su ciò che si era degustato e bevuto. Essendo di famiglia molto ricca, non ho mai avuto problemi a soddisfare questa inclinazione. Ho trascorso la mia vita banchettando e bevendo senza avere altri pensieri per la testa che le gozzoviglie.»
«Ho capito: ha raschiato il fondo della cassa e non può più permettersi di banchettare come vorrebbe.»
«No di certo! Le mie disponibilità sono tuttora ingenti, nonostante le immense cifre spese per la soddisfazione della gola mia e altrui.»
Scartò un’altra brioche.
«Un boccone?»
«No, grazie.»
«Qualcosa in me cambiò circa quindici anni fa… Avevo venticinque anni. Cominciai a sentire un bisogno nuovo e incomprensibile. Poi capii: desideravo una donna da amare e dalla quale essere amato. L’amore insomma, un sentimento sino ad allora sconosciuto per me. Come sconosciuta era la gelosia, se non per chi stesse mangiando una fiorentina più grande della mia; e sconosciuta anche l’apprensione, se non di sapere quale pietanza vi fosse per cena. Iniziarono le mie ricerche del grande amore, della cosiddetta donna della mia vita, quella con cui avrei condiviso una grande passione culinaria. Frequentai dapprima alcune cuoche: se c’è qualcuno che ama cucinare, mi dissi, probabilmente amerà anche mangiare. Mai una deduzione fu così falsa! Feci altre conquiste. Può sembrare strano, data la mia corpulenza, ma questa non mi intralciava affatto: molte donne forse non mi consideravano bello ma, se non altro, allegro e brillante. Probabilmente alcune erano interessate anche alle mie ricchezze, magari si attendevano grandi e costosi regali, ma saranno rimaste deluse vedendo che genere di regali facevo loro…»
«Che genere di regali?»
«Generi alimentari: salumi, formaggi, volatili…»
Dato che l’argomento regali m’interessava parecchio, pensai alla reazione di mia moglie se per il nostro anniversario le avessi regalato un salame… sarebbe stato di certo uno dei modi più efficaci per avviare le pratiche del divorzio!
«Molte trovavano in me l’uomo da accudire, da portare sulla retta via, da cambiare. Quasi sempre volevano farmi dimagrire. Io, invece, non solo cercavo una donna che non fosse interessata alla mia linea e, in fede mia, alcune ne ho trovate, ma che non fosse interessata neppure alla propria! Desideravo una donna che fosse avvinta soltanto da me e dal buon companatico. Per anni le mie ricerche non sortirono alcun esito.
Un giorno, esattamente otto anni fa, capitai per la prima volta a cena da alcuni amici. C’era anche la figlia, Laura. Che viso delizioso e incantevole aveva! Non mi dilungherò oltre nel descriverla, perché troppo grande è il dispiacere nel ricordare la sua bellezza. Dico soltanto che mi stupì la sua incredibile voracità durante la cena. Chiesi se si trattasse di un caso, mi confermarono che Laura si cibava sempre con indicibile ingordigia e che adorava alla follia i dolci. Al termine della cena trascorsi un po’ di tempo con lei. Ci divertimmo come matti divorando un intero vassoio di pasticcini, e avremmo continuato se non fossero finiti! Mi piace mangiare mi confessò Laura, voglio mangiare sempre tantissimo! Quelle affermazioni così sicure e determinate, quella serata così speciale, non mi passarono più di mente. Da quel momento continuai a pensare a lei, mi ero finalmente innamorato! Ma c’era un problema… Laura era una bambina di dieci anni! Avevo perso la testa per una bambina vorace e sorridente di appena dieci anni!
La rividi ancora. Sempre più spesso. Ne seguii la crescita veloce; di quelle mangiate ci siamo fatti! Più cresceva, più i suoi sentimenti nei miei confronti si trasformavano da affetto infantile in amore vero e proprio. Quando compì diciotto anni le chiesi di sposarmi. Accettò entusiasticamente, senza indugiare, come se l’avessi soltanto preceduta in una proposta che avrebbe altrimenti fatto lei.
Dopo qualche mese di matrimonio Laura cominciò a ingrassare. E più ingrassava meno mangiava. Nulla poterono le mie parole di conforto. La rassicuravo continuamente, le dicevo che per me la sua bellezza risiedeva in ciò che aveva dentro. Sì, dentro allo stomaco. Tu non capisci mi diceva, non riesco nemmeno più a entrare nei miei vestiti! Risposi che poteva stare tranquilla, perché gliene avrei comprati di nuovi e di taglia superiore. Tuttavia la mia disponibilità non fu assolutamente apprezzata: s’infuriò e io venni accusato di insensibilità senza apparente motivo. Ma va da sé che gli uomini, quando non capiscono le bizzarrie delle donne, sono sempre considerati insensibili… Allora ho realizzato che nemmeno Laura è la donna della mia vita e che non esisterà mai una donna della mia vita. Ed eccomi qui. Ho sempre desiderato di morire all’improvviso, mentre degusto un piatto di escargots à la bourguignonne: anche questo sogno non si avvererà mai…»
A quel punto iniziò una lunga critica nei confronti delle moderne costumanze, che temetti seriamente non sarebbe mai terminata. Invece così si concluse: «Perché, mi chiedo, perché a questo mondo non siamo tutti grassi?»
«Ma certo! È proprio per questo che lei non si deve buttare di sotto! Lei deve farsi promotore di una nuova tendenza, quella di essere tutti grassi!»
Forse non era un’idea nuova e originale, ma dovevo pur dargli qualche ragione per non buttarsi.
«E poi guardi che acquaccia sporca!»
«Ma io devo annegarci, mica farci il bagno!»
«Appunto, quando si annega è perché si beve parecchia acqua, e io quell’acqua non la berrei neanche morto! Una persona come lei, abituata a bere buon vino… Andiamo, dia retta a me: si trovi un altro scopo nella vita, che so, faccia lo stilista rivoluzionario!»
Era pensoso. Forse l’avevo convinto.
Guardò l’acqua, poi guardò me.
«Lei ha ragione: quest’acqua è davvero zozza! Credo che per adesso rinuncerò al suicidio e… sì, farò lo stilista. Prima però vorrei mettere qualcosa sotto i denti, per esempio del gulasch, un tipico piatto ungherese che non ho mai assaggiato. Oggi è stata una giornata carica di emozioni e le emozioni mi fanno venire fame…»
Poi sfilò di tasca l’ennesima brioche.
«Un boccone?»
«Ma sì! Avevo proprio voglia di una brioche…»
L’uomo cominciò le difficili operazioni per trasbordare se stesso al di qua della balaustra in modo da togliersi dal ciglio del ponte che, stremato da tanto peso, crollò inesorabilmente. L’uomo precipitò nel fiume generando schizzi talmente alti che persino io venni completamente bagnato, come se in acqua fossero stati gettati almeno dieci chili di tritolo. Annaspava biascicando che non voleva morire, almeno non prima di aver assaggiato il gulasch. Io non riuscii nemmeno a urlare per chiedere aiuto, perché avevo la bocca occlusa dalla brioche, così le torbide acque e l’oscurità s’inghiottirono quel povero disgraziato in un sol boccone.
Tornai a casa che era quasi l’alba. Diversamente da prima, avevo una solida certezza: sapevo che genere di regalo fare a mia moglie per il nostro anniversario. L’avrei portata al ristorante, a mangiare il gulasch.